L'AUTORE

venerdì 27 dicembre 2013

martedì 24 dicembre 2013

Caro Babbo Natale, mi piacerebbe...

di Piero Montanari

Caro Babbo Natale,
mi chiamo Luca e ho sette anni. Il mio papà, Piero, mi ha detto di scriverti attraverso questo importante giornale così i miei desideri è più facile che ti arrivino, la lettera non si perde e poi risparmio anche il francobollo, che di questi tempi di povertà di paghette è pure meglio.

Papà mi ha detto di non chiederti regali perché c'è la crisi. Anzi, mi anche detto che devo regalare i miei giocattoli vecchi ad altri bambini che stanno peggio di me, e sono tanti tanti! Lo faccio volentieri, così ti scrivo solo un elenco di pensierini e qualche piccolo desiderio che per te è più facile da esaudire.

Mi piacerebbe giocare con un bambino che vedo sempre in televisione che strilla e urla come un ossesso a tutte le persone grandi (papà e mamma mi dicono che non si dovrebbe fare, è maleducazione, ma lui lo fa). Si chiama Renato Brunetta, non so che classe faccia, ma ci voglio giocare alla lotta così gli dò un sacco di botte che mi sta proprio antipatico.

Mi piacerebbe che quella signora che si chiama Daniela Santanchè e che assomiglia tanto a Crudelia Demon, quella cattiva del cartone animato "La carica dei 101" sparisse dai programmi televisivi, che ci sta sempre, perché a me la sua faccia fa davvero paura, e poi la notte non dormo perché penso a lei e qualche volta mi faccio anche la pipì sotto.

Mi piacerebbe che i maghi cattivi (non come Merlino, quello della "Spada nella roccia" che era buono) che promettono a bambini malatissimi (e pure ai grandi) di curarli con delle medicine fasulle non ci fossero più. Papà mi ha raccontato che ogni tanto ne arriva uno che crea nella gente, già colpita dal male, speranze che poi si rivelano false. Qualche anno fa (sempre papà mi racconta) ce ne fu uno che voleva curare i tumori con la cacca e la pipì delle capre (che a me fa proprio schifo). Si chiamava Liborio Bonifacio, fece un grande chiasso e tutti si volevano curare con quella schifezza, tanto che anche quella volta il ministro ordinò di fare un esperimento che però fallì. Ce ne fu pure un altro che ci provò a curare i malati di quel brutto male con un metodo nuovo che non funzionò per niente. Si chiamava Franco Di Bella, e lui almeno era un dottore vero e non metteva pipì e cacca di capre nella medicina come quel veterinario lì.

Mi piacerebbe (scusami Babbo Natale perché questo è un pensierino cattivo cattivo) che il cane Dudù, mordesse a sangue ogni giorno il suo padrone per tutte le rogne che mi ha creato in questi anni, facendo innervosire sempre papà che poi mi strillava, mi metteva in castigo e io piangevo.

Mi piacerebbe che qualcuno dicesse alla mia maestra di non farmi più scrivere la parola "pace nel mondo" sul quaderno, che mi sono davvero stufato. Per me è una parola vuota, che non vuole dire niente se non la riempiamo di significati e di gesti veri (però questo pensiero me lo ha detto papà, che era un po' difficile per me da capire).

Grazie, Babbo Natale, e Buon Natale


mercoledì 18 dicembre 2013

Il Marcio su Roma

di Piero Montanari
Sarebbe cosa normale e giusta, per chi lo desiderasse, poter programmare una passeggiata al centro di Roma, anche se in questi giorni di questo sofferto Natale di crisi, la città sembra meno civettuola di sempre, più austera, con meno luci e meno fronzoli, come ad indicare lo status di un malessere psicologico generale che sembra aver colpito le persone. Roma lo mostra questo malessere, a Natale 2013, non è la solita città che conosciamo.

Ma la passeggiata per i regali di Natale è condizionata dal bollettino sullo stato d'assedio della città, un po' come in guerra, quando c'era il coprifuoco e tutti dovevano rimanere chiusi in casa. Si consiglia sempre, prima di uscire, di consultare il numero verde del Viminale, per chiedere: "Posso uscire oggi? In quale zona c'è pericolo?" In subordine tenere sempre pronto il telefono della questura di zona o dei carabinieri per le ultime novità.

Oggi arrivano i Forconi divisi in troconi: arriva quello dell'ala dura, quello di Danilo Calvani e i suoi infiltrati, coreografato mirabilmente dal gruppo di Casapound che le promette dure a tutti, come dichiara il suo leader appena arrestato e subito rilasciato, Simone Di Stefano. Però poi, non ci faremo mancare l'altro troncone del forcone siciliano, guidato dall'imberrettato Ferro Mariano che, per paura di mischiarsi con gli oltranzisti del movimento, arriverà a Roma domenica per andare dal Papa, dice.

"Quindi, oggi niente Piazza del Popolo via del Corso e zone limitrofe, è molto pericoloso" - mi dice il questurino al quale mi sono rivolto per sapere se posso mettere il naso fuori di casa - "Vada domenica a fare i regali di Natale - mi consiglia -. "No, domenica c'è l'altra marcia su Roma - gli dico - meglio di no".

E non è che ci sono solo "i cattivi" a marciare su Roma. Roma è assediata da tutti, ogni giorno: si manifesta continuamente, qualsiasi categoria di persone abbia un problema o vanti un'ingiustizia viene a manifestare qui, anche giustamente, dico io: i malati a cui non vengono date le cure, i lavoratori delle migliaia di aziende in crisi, i gay, le casalinghe, gli autisti dei bus, i tassisti, i pensionati, gli statali, i parastatali. Tutti. E tutti i giorni.

E spesso lasciano questa povera, bellissima e unica città in uno stato di degrado che fa piangere il cuore. Chiunque abiti a Roma o la ami semplicemente, non può fare a meno di formulare almeno una volta al giorno il desiderio che ministri, ministeri, ambasciate doppie, politica, Stato, controstato e parastato se ne andassero finalmente e per sempre a quel paese.

lunedì 9 dicembre 2013

Gli ultimi istanti di John Lennon, il pacifista


di Piero Montanari
L'8 dicembre di trentatrè anni fa moriva John Winston Lennon, l'inventore dei Beatles, colpito da quattro colpi di pistola sparatigli dal venticinquenne Mark Chapman davanti al Dakota Building, la lussuosa residenza newyorkese di Lennon e di sua moglie Yoko Ono.

Erano le 22:51 e i due stavano rincasando da una giornata passata negli studi di registrazione per realizzare l'album, poi uscito postumo, "Double Fantasy". Chapman, un povero demente innamorato folle di Lennon (l'amore malato che uccide) era da tempo appostato davanti al residence non proprio per vedere il suo idolo, ma per ammazzarlo. Chissà quale strano cortocircuito nella sua testa maledetta gli intima di estrarre la pistola, chiamare John e dirgli: "Ehi, Mr. Lennon! Sta per entrare nella storia!"

Spara cinque colpi a ripetizione, Lennon si accascia al suolo in una pozza di sangue. Quattro colpi lo raggiungono al petto e all'addome e uno di questi gli perfora l'aorta. Lennon fa due passi, barcolla e prima di cadere in terra fa in tempo a dire: "Mi hanno sparato". Sua moglie gli è sopra e lo sostiene, arriva una pattuglia di polizia che lo porta a gran velocità al Roosvelt Hospital, dove viene dichiarato morto 11 minuti dopo l'esecuzione.

Chapman rimase seduto in strada a leggere per la centesima volta il suo libro preferito, "Il giovane Holden", la sua ossessione, l'ossessione di tanti giovani assassini seriali, in attesa della polizia. A chi gli chiedeva se aveva capito cosa avesse fatto, rispondeva tranquillamente: "Si, ho appena sparato a John Lennon".

Nonostante la riconosciuta infermità mentale e la sua accusa fosse stata derubricata ad omicidio di secondo grado, Mark Chapman fu condannato all'ergastolo con una pena supplementare di 20 anni (mi piacerebbe capire questa come fa a scontarla, forse, con il Karma, in una prossima vita). A tutt'oggi le sue richieste di libertà vigilata sono state sempre respinte e alloggia nelle carceri di Attica (N.Y.)

Ho voluto ricordare gli ultimi istanti del grande Beatle, straordinario musicista e pacifista, nei giorni che seguono la morte dell'ultimo grande fautore di pace del secolo scorso, Nelson Mandela, perché il resto della sua eccezionale esistenza ce lo racconta la sua musica in ogni suo brano, grazie alla qualità innovativa della sua scrittura, che è un compendio di melodie semplici ed immortali, impegno civile ed avanguardia culturale, soprattutto dopo l'incontro che John ebbe con sua moglie Yoko Ono, musa che di certo lo influenzò profondamente, indicandogli altre strade da percorrere, ma che lo portarono inevitabilmente a separarsi dai Beatles.

sabato 7 dicembre 2013

Il sonno della ragione genera ultras

Di Piero Montanari
Ancora una volta siamo costretti a prendere in prestito il famoso titolo del quadro di Goya (El sueno de la razòn produce muestros) nel leggere notizie che ci fanno vergognare di appartenere alla stessa categoria umana di persone che scrivono sui muri di Roma: "Anna Frank tifa Lazio" o "Romanista ebreo, ecco la tua stella" o "Aushwitz la vostra patria, i forni le vostre case".

La tecnica degli ultras si affina, non solo scritte murali, ma ora addirittura grafica seriale, con la stampa di manifestini e autoadesivi che ritraggono Anna Frank, la giovane adolescente ebrea che morì nei campi di concentramento nazisti e che scrisse il famoso Diario, con la maglietta della Roma, apparsi nello storico rione giallorosso Monti, e in altre parti della città.

Il diario che scrisse Anna Frank, nelle settimane che precedettero la sua cattura da parte dei nazisti, commosse il mondo, quando venne pubblicato da suo padre in olanda nel 1947 grazie ad alcuni amici della famiglia Frank che avevano aiutato dei clandestini olandesi a fuggire, e ai quali furono da loro consegnati gli appunti della piccola Anna.

Il libro, che uscì col titolo Het Achterhuis (Il retrocasa) racconta delle speranze, degli amori, della voglia di vivere e delle paure di una adolescente ebrea costretta a vivere nascosta in una piccola stanza con altri ebrei per settimane, prima che i nazisti la deportassero. Anna morì di stenti e di tifo a Bergen-Belsen, un campo tedesco, e il suo libro (dal quale venne tratto nel 1959 un toccante film che vidi da bambino, ma anche un bellissimo film d'animazione nel 1999) è stato inserito dall'Unesco nell'Elenco delle Memorie del Mondo.

Quindi, è giusto dire che non solo "Il sonno della ragione genera mostri", ma produce anche cretini sotto forma di tifosi che non conoscono la Storia o se ne infischiano e la dileggiano, il più delle volte all'oscuro dei suoi accadimenti.

Ho in mente una bella forma di rieducazione per loro, un po' fantozziana, stile Corazzata Potemkin: un istituto correzionale, come si diceva un tempo, dove sono costretti dalla mattina alla sera a vedere film e documentari sulla barbarie umana, nazismo, olocausto, gulag e roba simile, (quelli con le cataste di corpi nudi ammassati, per intenderci) e ad impararsi a memoria il Diario di Anna Frank. Escono solo quando lo ripetono tutto.

Troppo cattivo? Tortura e lavaggio del cervello? Forse, ma solo se però mi dite dov'è il cervello.

sabato 23 novembre 2013

La posizione della Siae sul Teatro Valle occupato



di Piero Montanari 

Mi riferisco all'articolo pubblicato quest'oggi, 22 novembre 2013 su Globalist (www.globalist.it), da Cesare Basile, il cantautore vincitore al Premio Tenco per il miglior album in dialetto (vedi il link in fondo all'articolo). Basile ci dice che non ritirerà il premio per polemica nei confronti della Siae - partner importante dello stesso - per la posizione del suo Presidente Gino Paoli e del Direttore Generale Gaetano Blandini riguardo l'occupazione, ormai di quasi tre anni, del Teatro Valle di Roma da parte di un gruppo di attori e di tecnici. Come si evince dall'articolo che la Siae pubblica sul suo sito (e che ritengo corretto per chiarezza riportare fedelmente), mi pare ci siano delle ragioni importanti da valutare e, volendo, anche condividere.

"Da 131 anni, la Società Italiana Autori ed Editori, opera in un regime di piena e totale legalità. Il nuovo Statuto della SIAE è perfettamente in linea con la bozza di Direttiva Europea sulle Società di collecting. In tutti gli altri paesi del mondo, le Società di collecting hanno un monopolio di fatto. La questione del monopolio è quindi da parte degli occupanti del Teatro Valle, una "foglia di fico" o meglio un alibi per spostare i termini della questione.

Da tre anni operano in un regime di totale illegalità. A parte il mancato pagamento del diritto d'autore, agli occupanti del Teatro Valle si deve: la totale evasione fiscale, il mancato pagamento dei contributi previdenziali Enpals, la totale ed assoluta mancanza di qualsivoglia misura di sicurezza per autori, tecnici e spettatori.

I tanti teatri che a Roma operano in un regime di legalità, hanno dovuto sopportare, in questi anni, una concorrenza sleale tanto da registrare le proteste, cadute nel vuoto, dei tanti artisti che pure in un primo momento li avevano sostenuti: dal M° Giorgio Albertazzi ("Chi occupa fa le regole? No, non mi convince"); a Marco Lucchesi ("Non capisco come sia tollerata e si tolleri la situazione del Valle"); a Pino Quartullo ("hanno creato là dentro un regime militaresco; fanno scelte arbitrarie a nome di non si sa chi"); ad Armando Pugliese (" Chi doveva - leggasi le Istituzioni - non è intervenuto per paura di far la figura dei reazionari").

A tutto ciò si aggiunge lo stato di degrado assoluto di un bene pubblico che appartiene a tutti i cittadini. Questi signori non possono essere interlocutori credibili e fanno tornare alla memoria le parole del M° Pasolini sui "figli di papà" di Valle Giulia.

Alla SIAE aderiscono oltre 100.000 autori ed editori che pagano le tasse e da 131 anni alimentano la cultura del nostro paese. La SIAE è pronta e disponibile a confrontarsi con tutti su tutto, ma non è disponibile a confrontarsi con chi opera nella totale illegalità e non si comprendono i motivi per cui da tre anni le Istituzioni consentono questa "zona franca" di totale illegalità.                             "http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=51567&typeb=0&Ecco-perche-non-ritirero-il-Premio-Tenco

La Roma diventa più gialla che rossa


di Piero Montanari
Socio Cina? Sayonara! Sembra una battuta di qualche anno fa (anche se sayonara è un saluto giapponese non cinese). Però la notizia è vera e la riportano tutte le agenzie: il cinquantanovenne Wang Jianlin, l'uomo più ricco della Cina, con un patrimonio di 8,6 miliardi di dollari, presidente della Dalian Wanda Group, la più grande impresa immobiliare cinese e grande appassionato di Arte (e di calcio) è l'investitore interessato all'acquisto di quote consistenti della A.S. Roma.

Pare che Jianlin sia interessato a rilevare le quote che ora sono in possesso dell'Unicredit, così da risolvere l'anomalia che la Roma si porta dietro da quando i Sensi la vendettero a James Pallotta e ai suoi soci americani, ma con l'Unicredit a detenere il pacchetto di maggioranza per via del debito davvero consistente che i Sensi contrassero per mandare avanti la Magica negli anni.

Ora, se l'affare si dovesse concludere, mi fa sorridere un po' l'idea che soci americani e cinesi, in un futuro immaginabile, possano mettersi seduti insieme attorno ad un tavolo e decidere le sorti di questa squadra. Due culture così diverse politicamente e culturalmente, unite - non dall'amore per la Roma, che sarebbe pure cosa buona e giusta - ma dalla forma selvaggia di capitalismo che li fa essere assolutamente identici: uno con il libretto rosso di Mao dimenticato impolverato in un cassetto della sua villa miliardaria, magari sotto al Picasso "Claude e Paloma" (i figli del grande Artista spagnolo) che pochi giorni fa si è regalato per la modica cifra di 28 milioni di dollari, e gli altri, gli americani, che tra catene di pizzerie, negozi di mozzarella e squadre di basket non fanno distinzione, e da bravi Decio Cavallo (vi ricordate l'americano in Totò truffa che compra la fontana di Trevi a Totò e Nino Taranto?) si "accattano everithing", al grido di "facimme o' bisiness" a tutti i costi, un business che non conosce confini, e soprattutto amori sconfinati, come solo un tifoso vero può avere per la sua squadra.

Se l'acquisto della Roma da parte del magnate cinese dovesse andare in porto, speriamo almeno che in questa accozzaglia economico-etnico-culturale si possa andare d'accordo, altrimenti potrebbe scoppiare qualche incidente diplomatico o, magari, pure una terza guerra mondiale.

Muore Tullio De Piscopo, anzi no


di Piero Montanari
È da un paio di giorni che sui social network si è diffusa a macchia la notizia della morte di Tullio De Piscopo, il bravo percussionista napoletano celebre per i suoi brani dance anni '90, "Andamento lento" su tutti.

La notizia, per fortuna, si è rivelata "fake", un falso, una bufala della Rete ed è stata smentita prontamente da molti suoi amici, dalla pagina dei fan di facebook e dallo stesso Tullio, che dice di stare benissimo. Lo immaginiamo, da buon napoletano, scatenarsi in risate liberatorie e scaramantici gesti apotropaici. "Mi allunga la vita", ha detto semplicemente, rispolverando la vecchia diceria che chi viene dato per morto e non lo è, vive più a lungo. Era successo anche a Eduardo De Filippo e Lino Banfi.

Di sicuro, da partenopeo d.o.c., Tullio saprà che nella Smorfia Napoletana (la serie numerica che spiega gli accadimenti umani da giocarsi poi al lotto) la sua morte presunta potrebbe essere rappresentata prima dal 47 (O' muorte che parla) ma anche dal n° 30 (O' burlone muorte) se non addirittura dal 72 (O' muorte pe' finta) che nel caso di Tullio, a pensar male, potrebbe essere il vero numero di tutta questa storia, forse inventata proprio dal protagonistra per farsi pubblicità.

Dopo aver appreso la notizia - ancora non smentita - della morte di Tullio, ho incominciato a preoccuparmi seriamente di dover parlare un'altra volta della fine di un artista, in quest'anno che ha visto la scomparsa di tantissimi protagonisti del mondo dello spettacolo; e poi Tullio è un amico col quale ho suonato spesso e il dispiacere sarebbe stato davvero grande.

La falsa notizia mi rallegra, anche alla luce di qualche collega che mi ha lusingato per come ho - diciamo così - trattato precedentemente la materia, ed esortato ad occuparmi del suo necrologio, nel deprecato caso in cui, immaginando il tutto sottolineato da una gigantesca 'grattata'.

venerdì 15 novembre 2013

Sorcino Renato finisce nella trappola del truffatore.


di Piero Montanari
Una notizia appare oggi su molti quotidiani, che se non fosse per i suoi protagonisti e l'epilogo tragico, sarebbe la solita banale truffa del mediatore economico, o "financial broker" che, con la promessa di facili guadagni e sovente la distrazione di denari sottratti al fisco, rastrella in giro capitali da investire a danno di possidenti che si credono furbi e ai quali carpisce fiducia e milioni.

Un altro "Madoff dei Parioli" di grande prestigio, Giovanni Paganini Marana, una garanzia per generazioni di investitori alto borghesi, artigiani esclusivi, antiquari di piazza di Spagna, gioiellieri di altissimo lignaggio, famiglie nobili, artisti famosi (pare che anche il povero Renatino Zero sia caduto nella trappola, ma anche Diletta D'Andrea, moglie di Gassman) élite conosciute nelle frequentazioni di circoli esclusivi romani, dove non si entra senza un pedigree nobile o milionario.

Come se non fosse bastata l'esperienza di Gianfranco Lande, il primo cosiddetto "Madoff dei Parioli", accusato di aver ideato un raggiro da oltre 170 milioni di euro, raccogliendo i risparmi di imprenditori, professionisti, gente dello spettacolo e vip, (tutta la famiglia Guzzanti, il papà Paolo, Sabina, Caterina e Corrado), Davide Riondino, al quale Lande sottrasse una somma piuttosto ingente, e che disse sconfortato ad una radio: "Sono un evasore pentito, me ne dispiaccio. Ho avuto un incidente tecnico che non consiglierei a nessuno." E ti credo, diremmo noi.

L'epilogo tragico di questa storia, che vede la denuncia al pm Luca Tescaroli di quarantaquattro dei centosessantuno investitori della truffa di Paganini Marana, è che il broker il 7 settembre del 2012 si gettò dalla finestra del suo studio, evidentemente distrutto dall'insostenibile idea dello scandalo che di lì a poco sarebbe esploso.

La storia è brutta e fa riflettere perchè, se fossi nei panni di un investitore, eviterei di portare i miei risparmi in studi di broker situati nell'elegante quartiere Parioli di Roma. Ormai è chiaro che da quelle parti tira una brutta aria, un vento di sòla, a proposito di espressione romana, e forse sarebbe meglio accontentarsi della banchetta sotto casa e dell'anonimo impiegato che ti offre, al massimo, il 3,75% tax escluse, (semprechè poi uno abbia qualcosa da risparmiare, che oggi è rara avis).

Un'ultima banale considerazione, che però va fatta. Se esiste un truffatore, c'è sempre un truffato che lo sdogana, diventandone complice suo malgrado, forse per quello strano desiderio di affarismo a tutti i costi che per noi umani rappresenta una droga irrinunciabile.

venerdì 1 novembre 2013

Roma, la magia della semplicità.

di Piero Montanari
Che fantastica storia la Roma di Garcia! 10 partite, 30 punti. Mai successo nella storia del calcio italiano, una vera magia. Non per niente la Roma viene definita dai suoi tifosi 'A MAGGICA, con la "G" bella pesante. Davvero, questa Roma dal gioco lineare, può insegnare che il calcio più semplice lo fai, più risultati ottieni.

Mentre invece la grande difficoltà che spesso fa la differenza, come nel caso della Roma, è la coesione del gruppo attorno ad un allenatore credibile che ha la capacità di rispettare e farsi rispettare con la sua autorevolezza. Il resto lo fanno i giocatori che non aspettano altro se non mostrare le loro capacità in campo. Poi, e forse questa è magia vera, entra in ballo la cosiddetta "trance" sportiva, che mette in moto meccanismi davvero incredibili nella testa e quindi nel corpo di chi gioca, che non ti fa sentire la stanchezza, ti fa correre il doppio, ti fa diventare giocatore migliore di quello che sei.

Accade quando vinci, quando migliaia di persone ti sostengono col tifo e col pensiero, una sorta di catarsi pubblica che fa scattare le endorfine, che fa entrare il pallone nella porta avversaria. Se vogliamo chiamarla magia forse non sbagliamo del tutto, anche per chi non crede nell'innaturale, per chi non crede che esiste una magia che faccia vincere ad una squadra dieci partite di seguito, che non esiste un dio del calcio che decida le sorti di questo o di quello, al di là dei pali o degli errori arbitrali, della ingerenza dei poteri forti o delle scommesse, per chi non capisce come sia possibile che una squadra, per due anni senza un briciolo di volontà e di risultati, dopo aver perso un importante incontro il 26 maggio scorso, possa diventare la squadra che tutta l'Europa calcista guarda con stupore per i suoi record, le dieci partite di fila vinte.

Sarà pure vero che i record sono fatti per essere battuti e forse qualcuno, magari tra qualche anno, ci riuscirà. Ma tutti, da ora in poi, dovranno fare i conti con questo siglato dalla Roma di Garcia, difficile, molto difficile da eguagliare. E forse non è ancora finita.

mercoledì 30 ottobre 2013

Ignazio Marino, se la Roma vince lo scudetto mi spoglio


di Piero Montanari 

Leggo con terrore e raccapriccio un'agenzia di stampa su un'affermazione fatta oggi dal sindaco della Capitale che dice testuale: Calcio, Ignazio Marino: "Se la Roma vince lo scudetto mi spoglio. Ma non parliamone troppo perche' i tifosi sono scaramantici e secondo me gia' stanno facendo gli scongiuri".

Se n'è uscito con questa dichiarazione a Rai Radio 2, ospite del programma condotto dal comico Max Giusti, dopo essere arrivato con la sua bici elettrica e l'incazzatissima scorta dei motociclisti al seguito, sempre costretti, per la scarsa velocità del mezzo del sindaco, a viaggiare in prima marcia con le moto che fondono un giorno si e uno no, ad aumentare il lavoro del meccanico comunale, che già ebbe problemi seri col motorino di Rutelli. "Aspettamo c'ariva 'a giannetta (il freddo romano, ndr), vojo vede se pija 'a bicicletta, questo!" - pare abbia detto a mezza bocca uno della scorta.

Sapere che Marini fosse tifoso della A.S. Roma è stata una sorpresa. In realtà si rivelò giallorosso "tiepidino" (forse per non offendere troppo la parte di fede laziale della città, chissà?) il giorno del derby Roma-Lazio del 22 settembre scorso, quando disse: "Tifo Roma perché Guido, il mio miglior amico, è romanista e quando gioca la Roma se dobbiamo incontrarci, non si può fare!" Davvero una dichiarazione di appartenenza ad una squadra ricca di significati forti.

Eppure il 'sindachirurgo dem' è il 1° primo cittadino da vent'anni a questa parte a tifare per la Roma, dopo il laziale Rutelli e lo juventino Veltroni. Per i romanisti potrebbe anche essere cosa buona e giusta, un punto d'onore, se non fosse per questa disgraziata dichiarazione dello striptease in caso di scudetto giallorosso.

Ho ancora nella mente il ricordo della delusione che provai il 17 giugno del 2001, quando Sabrina Ferilli, avendo fatto la stessa promessa di Marino, apparve al Circo Massimo per festeggiare lo scudetto della Roma di Fabio Capello, dentro una tutina color rosa carne, attillatissima in verità, ma sempre di tutina si trattava.

Ora, anche se mi professo tifoso volteriano illuminista, non posso fare a meno di esercitarmi in gesti apotropaici di vario tipo, per le dichiarazioni sconsiderate del sindaco. Ma non tanto per la questione dello scudetto, che a questo punto della storia è argomento debole, ma per il rischio di veder Ignazio Marino il 19 maggio 2014, ultimo giorno del campionato di serie A, girare nudo, magari in tanga rosa e sulla sua bicicletta elettrica d'ordinanza per le strade di Roma, scortato dai suoi due motociclisti ancora più incazzati.

sabato 26 ottobre 2013

Augusto Odone e l'olio di Lorenzo, un'infinita storia d'Amore

di Piero Montanari
Ve lo ricordate un film americano del 1998 con Nick Nolte e Susan Sarandon, intitolato L'olio di Lorenzo? Era la storia vera e toccante di un bambino di sei anni, Lorenzo Odone, a cui dopo un viaggio alle Isole Comore con i suoi genitori, venne diagnosticata una malattia degenerativa rarissima quanto terribile, l'Adl, che sta a siglare il nome scientifico di Adrenoleucodistrofia.

Questa malattia colpisce e distrugge inesorabilmente la guaina mielinica che riveste i nervi, degenerando prima le funzioni motorie e poi quelle psichiche di chi ne viene colpito, con un'aspettativa di vita brevissima.

Augusto Odone, il papà di Lorenzo, un economista della World Bank, decide che questa aspettativa di vita breve del suo amato Lorenzo - due soli anni - deve essere combattuta con tutte le sue forze: non accetta la condanna a morte ed inizia a dedicare la sua vita per cercare una soluzione e trovare una cura per suo figlio.

Abbandona così la sua attività di economista e si immerge in questa avventura apparentemente impossibile, iniziando a consultare testi scientifici, sostenuto dalla disperazione per una sentenza di morte che non vuole accettare. Disperazione e dolore lo spingono a cercare rimedi al di là della medicina convenzionale che aveva già gettato la spugna decretando l'inesorabile condanna del figlio.

Un giorno gli sforzi sovrumani di Augusto sembrano essere giunti ad una svolta, attraverso una scoperta assolutamente empirica: un composto derivato da due tipi di olio, l'olio di colza e l'olio d'oliva, sembra essere efficace ed in grado di fermare la degenerazione delle cellule dei tessuti che ricoprono i nervi del povero Lorenzo.

La comunità scientifica, come spesso accade in casi simili, insorge contro Augusto Odone e contro questo nuovo preparato che intanto l'amorevole papà inizia a somministrare al figlio, con risultati che sembrano dargli ragione. Uno dei più ferventi detrattori di Augusto Odone è il neurologo Hugo Moser della Johns Hopkins University il quale, anni dopo, dovrà ricredersi perché l'olio di Lorenzo funzionava davvero.

Lorenzo poi è morto di polmonite nella sua casa di Washington, ma non dopo due anni, bensì dopo ben 25, amorevolmente assistito e curato da questo straordinario padre, mentre sua madre era morta addirittura prima di lui, colpita da un tumore nel 2000.

Oggi anche Augusto Odone se n'è andato ad 80 anni, a conclusione di questa malinconica, tristissima storia di sconfinato amore paterno che tanto di buono ci racconta. Una cosa su tutte certamente: come l'Amore, "condito" con un po' d'olio di colza e un po' d'olio d'oliva, possano compiere un miracolo straordinario.

mercoledì 23 ottobre 2013

martedì 22 ottobre 2013

Scompare il Maestro Gianni Ferrio

di Piero Montanari

Quando mio padre comprò il primo apparecchio televisivo, una bestia dal nome imponente, Royal Eagle, 150 chili, con chassis in radica di noce, era il 1954, la Rai radiotelevisione italiana trasmetteva regolari programmi su un solo canale da pochi mesi, e il Maestro Gianni Ferrio era già lì a dirigere l'orchestra, per quelli che divennero programmi storici come: Bambole non c'è una lira, Milleluci, Senza rete.

In uno di questi - nella prototelevisione del mesozoico inferiore - sua moglie, la ballerina ed attrice Alba Arnova, si presentò con una calzamaglia rosa che ricordava impudicamente la pelle nuda. Il cielo si aprì e, in quell'Italia bigotta dove lo spettacolo veniva sostanzialmente gestito dal Vaticano, la bella soubrette venne definitivamente espulsa dalla Rai e mai più ne fece ritorno.

L'amministratore delegato dell'epoca Filiberto Guala (che poi prese i voti, tanto per capire a chi eravamo in mano) stilò addirittura un codice di autodisciplina dove le calzamaglie delle ballerine dovevano essere drasticamente scure o, al massimo dell'eros, a righe, le parola "membro del parlamento" o "in seno all'assemblea" sparire dal linguaggio televisivo (per via di "membro" e "seno") Figuramoci.

Gianni Ferrio era già là quando si accese per la prima volta il televisore di casa mia, con la sua classe e il suo 'aplomb' da gentleman di altri tempi, a deliziarci con le sue orchestre dirette e le sue canzoni per la televisione, che poi, più in là, divennero delle hit di successo che tutta l'Italia canticchiava: Parole parole parole, Non gioco più di Mina, Quando mi dici così, sigla di Speciale per noi e cantata da Fred Bongusto, che lanciò la sospirosa Minnie Minoprio che gli ballettava intorno già mezza scosciata (l'integralista cattolico Guala era stato mandato via). Ma anche: Non gioco più, brano elegante cantato dall'onnipresente Mina, e punteggiato dalla straordinaria armonica a bocca del grande Toots Thielemans.

Una carriera brillante quella del Maestro Ferrio, ricca anche di tante colonne sonore per il cinema, svariando dai film di Totò, ai cosiddetti "spaghetti western", passando anche per qualche Emmanuelle o qualche Poliziotta, scritte per quel cinema oggi riscoperto ed idolatrato da tanti appassionati.

Ferrio è stata una presenza costante, come si dice, nell'immaginario collettivo dell'Italia del boom economico, immaginario sovente indotto e pilotato proprio da quella televisione con un solo canale e con un forte codice etico e morale, in attesa del secondo canale Rai a sparigliare i giochi.

Oggi se ne va a 88 anni quel discreto e garbato signore che aveva un grande, grandissimo talento musicale, a cui, unitamente alle ormai dismesse orchestre della Radio e della Televisione Italiana che diresse così bene, tributiamo un ultimo ideale inchino.

domenica 6 ottobre 2013

Lizzani come Monicelli, un ultimo disperato gesto.



di Piero Montanari
Mi colpisce la morte di Carlo Lizzani, per le modalità praticamente identiche a quelle di un altro grande regista italiano suicidatosi come lui, Mario Monicelli. Una connessione tragica di storie simili quella loro, per carriera, età e disperazione.

Novantuno anni Lizzani, novantacinque Monicelli. Mario se ne andò gettandosi dal quinto piano del reparto urologia del San Giovanni di Roma, dove era ricoverato per un tumore alla prostata in fase terminale. Conoscendo la persona che era, ci avrà pensato un secondo a farla finita. Era un uomo con un grandissimo rispetto di se, e il solo pensare di finire i suoi giorni in un letto d'ospedale deve averlo fortemente motivato per quell'ultimo tragico gesto.

Lizzani non mi risultava stesse male, ma possiamo immaginare che i suoi novantuno anni gli devono essere pesati come un macigno, se ha deciso di gettarsi dal balcone del terzo piano della sua casa di via dei Gracchi, in Prati.

Una sorte tragica che accomuna due grandi registi, due straordinari artisti, nello stesso modo disperato e teatrale di morire, fa pensare fortemente a qualcosa che non funziona nella vita e nella società stessa che spesso, troppo spesso dimentica con facilità personaggi che fanno parte della nostra storia, relegandoli nell'oblio, invece di star loro vicino nei momenti più difficili.

Immagino tutti e due, Monicelli e Lizzani, nella solitudine delle loro vecchiaie e delle loro malattie, ricordare la straordinaria avventura delle loro vite vissute con pienezza e successo - che pochi fortunati possono vantare - e nell'insopporabilità di un triste presente e di un futuro certamente breve e doloroso là ad attenderli, porre fine alle loro vite in un ultimo, disperato gesto di gloria.

venerdì 27 settembre 2013

Oscar postumo a Endrigo per il Postino di Troisi

Scena da
Scena da "Il Postino"
di Piero Montanari
Strana storia quella de "Il Postino", il magnifico film di Troisi del 1994, ispirato al romanzo di Antonio Skàrmeta "Il postino di Neruda", che vinse l'Oscar per la migliore colonna sonora con Luis Bacalov, compositore argentino da anni residente in Italia. Triste storia, anche perché Massimo morì subito dopo la fine delle riprese. E poi perché durante tutte le bellissime poetiche sequenze, tra la storia del film e la malattia di Troisi, aleggia un'aria di morte che ti casca addosso, dalla quale non riesci a liberarti per lungo tempo. Ho fatto sempre fatica a rivedere il Postino, e tutte le volte, come la prima, assalito una malinconia senza fine.

Il film torna prepotentemente a far parlare di sé in questi giorni perché il cantautore istriano Sergio Endrigo, morto nel 2005, aveva intentato causa - insieme con Riccardo De Turco (ricordate "Luglio col bene che ti voglio.?") - e a Paolo Margheri, contro Luis Bacalov, sostenendo che il malincono e struggente tema principale del film fosse di sua paternità, e che il compositore bonaerense lo avesse plagiato.

Bisogna dire che Endrigo e Bacalov hanno lavorato lungo tempo insieme, collaborando nella grande Rca di Roma dagli anni '60, periodo aureo per la musica, con vendite di milioni di dischi, nella quale Luis faceva l'arrangiatore a Rita Pavone, a Gianni Morandi a Neil Sedaka, ma anche ai primi cantautori come Umberto Bindi, Gino Paoli e soprattutto Endrigo, con cui lavorò a successi importanti: "Io che amo solo te", "Lontano dagli oocchi", "L'arca di Noè", "Canzone per te", solo per citarne alcuni.

In seguito litigarono proprio per la colonna sonora del Postino nel cui leitmotiv Endrigo riconobbe un suo brano inciso nel 1974, composto insieme al cognato Del Turco e a Paolo Margheri, un paroliere dilettante.



La causa, durata 18 anni e forte di due sentenze che davano ragione salomonicamente a tutti e due (la prima a Bacalov e la seconda ad Endrigo), oggi finisce con la Cassazione che non ha fatto in tempo a esprimere un verdetto, perché Bacalov ha deciso di fare una transazione, riconoscendo la paternità della colonna sonora anche ai ricorrenti, e quindi con un nuovo deposito alla Siae, dove da ora appariranno, oltre al suo, anche i nomi di Endrigo, Del Turco e Margheri.

Una fortuna, perché il bel film di Troisi ha incassato una montagna di soldi in tutto il mondo e molti diritti per le musiche, e la sua colonna sonora è diventata un classico, un evergreen, con il tema magnificamente esposto dal bandoneon, fisarmonica cara agli argentini.

Soltanto che purtroppo Sergio Endrigo è morto il 7 settembre del 2005 e non potrà mai godersi questa vittoria, dovuta soprattutto alla tenacia di sua figlia Claudia e degli altri due musicisti aventi diritto.

Ad Endrigo una parte del triste oscar postumo, diviso in quattro, per un film poetico e malinconico come la sua musica e le sue storie.

martedì 24 settembre 2013

Il pianto di Balzaretti e la commedia umana

di Piero Montanari
Il derby nel calcio, si dice, è considerata partita a sé, e quello tra Roma e Lazio è ancora di più, è un derby nel derby, una partita nellla partita. Tanti sono i fattori che concorrono a farne qualcosa che esula da un semplice incontro di calcio tra due squadre rivali: c'è di mezzo il primato della città condivisa dalle due tifoserie, c'è dentro, quando va bene, il sarcasmo e gli sfottò che diventano spesso commedia dell'arte, soprattutto dal giorno dopo la gara, negli uffici, nei posti di lavoro, tra colleghi amici e rivali.

Il derby Roma-Lazio del 22 settembre 2013 si caricava poi un significato ulteriore: la voglia di rivincita della Roma sulla Lazio, dopo la partita persa il 26 maggio di quest'anno che è costata alla Roma la Coppa Italia, l'ingresso in Europa League e lo stesso derby, vittoria che i laziali poi non hanno smesso mai di festeggiare, almeno fino ad oggi, minuto 63 della partita.

Già, perché oggi è accaduto uno di quei piccoli miracoli che ogni tanto il calcio regala, ai tifosi, certo, ma anche a chi ama la commedia umana, che talvolta supera il gesto sporivo e ci affranca dalle banalità e dalle cattiverie che sempre troppo spesso avvelenano questo sport.

E' Federico Balzaretti, classe 1981, terzino sinistro, ex Juventus, Fiorentina, Palermo e Nazionale Italiana (partecipa agli ultimi europei) e dal 2012 in forza alla Roma, che ci fa vivere una di queste storie che, spero, possa rendere meno amara la sconfitta dei tifosi laziali.

Federico nella Roma non ha mai brillato, non ostante il suo impegno sempre costante e il suo forte senso di appartenenza alla squadra. Il suo altalenante rendimento gli aveva creato nella capitale molti detrattori che mai gli hanno risparmiato critiche pesanti, nel circo delle chiacchiere romano, unico nel suo genere, tra la miriade di radio e televisioni che fanno del calcio giocato un'appendice.

Ebbene, proprio nel derby del riscatto, nella partita più importante, che vale anche il primato in classifica, e sul risultato ancora in bilico, al criticato Federico capita - minuto 63 - la palla per fare gol. Tira bene, Balzaretti, ma il pallone bastardo gli si stampa sul palo della rete difesa da Marchetti. Una disdetta vera, proprio a lui che poteva diventare il nuovo Re di Roma e cancellare, in un attimo, tutte le critiche, tutta la negatività che si era portato addosso in quest'ultimo anno. Ma nulla, la palla non entra.

Però ecco il miracolo dello sport che si compie un secondo più tardi, solo un piccolo secondo, quelle cose che, se ci pensi, ti fanno amare il calcio e lo sport: la beffa si tramuta in splendida realtà.
Totti riprende la palla e confeziona un cross dei suoi, perfetto, col contagiri. Chi c'è a quel punto a raccoglierlo? Proprio l'affranto Balzaretti che aveva visto svanire il suo sogno di rivincita contro il legno laziale un secondo prima. Ma stavolta, con un bel sinistro al volo il pallone è nel sacco.

La telecamera, dopo aver indugiato sui festeggiamenti dei giocatori romanisti, inquadra finalmente Balzaretti con un primissimo piano, che ci svela il difensore colto da un pianto dirotto, interminabile, contagioso, dove dentro c'è tutto: la tensione della gara, le critiche feroci e la gioia, grande e incontenibile, di essere stato proprio lui, nella partita più importante, quella del riscatto, a portare in vantaggio la sua squadra e a cancellare, in un misero e piccolo secondo, tutte le amarezze.

Ecco perché penso che il pianto di Balzaretti, così umano e così sincero, restituisce al calcio un momento di quella verità e quell' umanità che spesso, troppo spesso, si smarrisce tra le ignobiltà di questo sport.
E tutto in un solo, piccolo secondo.

giovedì 12 settembre 2013

Il mondo dei '60 se ne va con Jimmy Fontana


di Piero Montanari

Cantava bene, Jimmy Fontana, ed aveva molto swing. "Lo swing o ce l'hai o non ce l'hai" mi aveva detto una volta alla Rca, la grande casa discografica romana che da tempo non esiste più, ma che è stata la madre di tutti gli artisti venuti fuori nei favolosi anni '60: Morandi, Pavone, Vianello, Meccia, Fidenco, solo per ricordarne pochi. E Jimmy Fontana, che così preferì chiamarsi agli inizi, piuttosto che il meno fantasioso Enrico Sbriccoli da Camerino: Jimmy in omaggio a Jimmy Giuffe, grande sassofonista americano del quale Enrico era fan, e Fontana, cognome scelto a caso.

Cantava bene, Enrico, ma con il jazz si mangiava poco o nulla a quel tempo a Roma, città che lo vide giovane studente di economia. Il salto dai localini fumosi, dove suonava il contrabbasso e cantava gli standard jazzistici col suo complessino, e la Rca che lo mise sotto contratto dopo aver ascoltato la sua bella voce, fu fatale per il suo successo.

Fu in quegli studi che Jimmy incontrò il geniale produttore Lilli Greco, che lo prese sotto la sua ala protettiva e produttiva, divenendo anche suo grande amico. Lilli pensò subito di togliere a quel giovanotto con quella bella voce, la cadenza del cantante di jazz, per trasportarlo immantinente nella musica pop di quei tempi.

Ed ecco nascere canzoni come "Il cha cha cha dell'impiccato" con i Flippers, e il suo primo grande successo da solista, "Non te ne andare". Ma la bomba arriva nel 1965 con "Il mondo", scritta con Meccia e Carletto Pes, ed arrangiata dal Maestro Ennio Morricone, in forza a quei tempi alla Rca. Col successo arrivano i primi film cosiddetti "musicarelli" ed una vittoria al Cantagiro del 1967 con "La nostra favola".

Ma è del 1971 il brano che farà di Jimmy un autore internazionale: "Che sarà", soprattutto nella fantastica versione che ci regalò il grande Josè Feliciano, e che Jimmy curò personalmente in America. Il brano, che arrivò al 2° posto al festival di Sanremo di quell'anno, lo voleva cantare lui, ma il grande capo Rca Ennio Melis si impuntò per darlo ad un giovane gruppo vocale, I Ricchi e Poveri, che ne fecero un loro cavallo di battaglia.

Enrico soffrì molto l'esclusione, tanto da aver voglia di smettere e tornarsene a Macerata per fare altro. Ma stare troppo tempo lontani dalle scene per gli artisti è impossibile e fa male, e Jimmy tornò dopo qualche anno a regalarci, con quella bella voce limpida e tagliente, altre canzoni.

Nessuna di queste, però, seppe bissare i successi che aveva inanellato negli anni giovanili. Forte della presenza artistica dei suoi figli musicisti, riprese a scrivere e a cantare, persino con altre "vecchie glorie" degli anni '60, i Superquattro: Gianni Meccia, Nico Fidenco, Riccardo Del Turco e lui, che insieme riproponevano medley dei loro brani che li resero famosi.

Quel ragazzo con quella bella voce limpida e tagliente e piena di swing, oggi se n'è andato a quasi 79 anni, e "il mondo che non si è fermato mai un momento" stavolta si è fermato per tributare a Jimmy Fontana l'ultimo commosso applauso.

La storia triste della salma di Battisti


di Piero Montanari
Da ieri, 6 settembre, il piccolo cimitero di Molteno, la cittadina brianzola dove Lucio Battisti aveva deciso di vivere e morire lontano da tutto e da tutti, sarà privato della salma del grande cantautore reatino per volere della sua famiglia. Così hanno deciso la vedova, Grazia Letizia Veronese, e il figlio Luca Carlo che vive a Rimini e che probabilmente avrà le spoglie di suo padre vicino, magari anche cremate.

La storia di questa traslazione è piuttosto triste, com'è stata triste l'uscita di scena di Lucio anni fa quando, come Mina (che però non ha mai smesso di regalarci canzoni) si allontanò definitivamente dalle scene e non volle più tornarci, fino alla morte avvenuta a 55 anni il 9 settembre del 1998. Ricordo l'ultima apparizione in video di Battisti, il 4 luglio 1980, in una trasmissione della tv svizzera, nella quale cantò, qualcuno sostiene per una scommessa, "Amore mio di provincia" e dove si vede il cantautore ingrassato e irriconoscibile.

Triste uscita dal cimitero di Molteno, si dice perché motivata da unaquerelle tra la signora Veronese e il comune, per via di un festival intitolato al cantautore ai cui organizzatori fu intentato un ricorso per bloccarlo, ricorso che la vedova ha poi perduto.
Triste storia, anche perché le migliaia di ammiratori che andavano ogni anno a rendere omaggio alla tomba di Lucio, oggi non sanno dove portare un fiore o un biglietto d'affetto.

Triste seguito ha avuto la "vita" di Battisti anche dopo la sua morte, allontanato, nascosto da tutti e protetto come la reliquia di un santo intoccabile. Poco o nulla si può fare a suo nome e con le sue canzoni, un ricordo, una trasmissione televisiva, un festival, senza dover, anche giustamente, chiedere il permesso ai suoi eredi, e quasi mai ottenendolo.

Pur non condividendole, ma nel rispetto delle decisioni fortemente protezionistiche della sua vedova, dico però che autori come Lucio, un pezzo importante di storia sociale e musicale del nostro paese, non possono essere chiusi in un cassetto per poi gettare via la chiave. Capisco guardarsi dai vampiri sfruttatori sempre in agguato, ma non dimentichiamo che le canzoni, una volta scritte, appartengono anche alla gente e non più solo al loro autore.

Per questo voglio ricordare Fabrizio De Andrè, che ha in sua moglie, Dori Ghezzi, la più grande e generosa divulgatrice dell'opera di Faber. Decine sono ogni anno i festival a suo nome e centinaia lecover band che suonano le sue canzoni, senza che questo dia motivo di querele o diatribe legali.

Quest'estate ho presieduto una giuria a Soriano nel Cimino, piccolo paese a nord di Roma, che per il secondo anno ha organizzato un bellissimo festival dal titolo "Risonando De Andrè", e che ha visto l'avvicendarsi di alcuni tra i migliori gruppi italiani suonare la musica del cantautore genovese.
Dori Ghezzi era là e non ho mancato di dirle quanto questa sua disponibilità nei confronti del ricordo di suo marito fosse apprezzabile. Lei, per tutta risposta e con un sorriso disarmante, mi ha detto: "Ma non sono io, è Fabrizio che lo vuole e si fa ricordare da solo!"

mercoledì 31 luglio 2013

Rino Gaetano, quando il mito non muore mai

di Piero Montanari

Riquadro 119, piano terra, cappella quinta, loculo 10 del cimitero Verano di Roma. È la casa dove l'amico Rino Gaetano, straordinario cantautore col quale suonavo, nato a Crotone il 29 ottobre del 1950, riposa da quel tragico 2 giugno del 1981, dopo che, a due passi dalla sua casa di via Nomentana, finì la sua breve luminosissima vita contro un camion, in una afosa notte romana.

Chi ha visitato la sua tomba - e sono in tanti oggi - racconta che è piena di regali, di fiori freschi ogni giorno, una tomba che sembra la stanzetta di un adolescente. E non manca la scritta simbolica: «Sognare la realtà, vivere un sogno, cantare per non vivere niente».

Ebbene, la "stanzetta" di Rino qualcuno ha pensato bene di profanarla, probabilmente nella notte tra sabato e domenica, e portare via un ukulele, la piccola chitarra con la quale Rino si esibiva spesso, fatta di una pietra lucente, l'afyon, e commissionata da Anna Gaetano, sorella di Rino, ad un artista che la scolpì per cinquecentomila delle vecchie lire.

Leopoldo Lombardi, presidente dell'Afi e avvocato da sempre di Rino e di tanti artisti, sostiene l'ipotesi più logica, mentre si svolgono le indagini. E cioè che a saccheggiare la tomba del cantautore sia stato non un ammiratore feticista, bensì un estorsore, come nel caso grave di Mike Bongiorno e che, magari, vuole vendere il "cimelio" su internet o addirittura chiedere una sorta di riscatto alla sorella Anna.

Il mito di Rino Gaetano è cresciuto a dismisura negli ultimi trent'anni, vuoi per le indiscusse qualità artistiche del cantautore crotonese con le sue precognizioni musicali, vuoi perchè la morte prematura ci riconsegna, attraverso il tempo e con una sorta di mutazione straordinaria, personaggi di successo come miti. È accaduto per tanti artisti di valore morti prematuramente: Jim Morrison, Amy Winehouse, lo stesso Elvis Presley o James Dean, o addirittura Marilyn, dei quali il mondo non è mai riuscito a fare a meno.

Lo stesso mito che fa sorgere ogni giorno l'amore di tanti per Rino Gaetano, e che magari spinge un povero demente o un furbastro da quattro soldi, a rubare dalla sua "stanzetta" dove riposa da più di trent'anni, la sua fredda chitarra di pietra luminosa.

domenica 21 luglio 2013

Addio a De Gemini, il genio dell'armonica


di Piero Montanari
E morto a Roma dopo una lunga malattia Franco De Gemini, considerato da tutti uno dei più grandi suonatori di armonica a bocca nel mondo. Aveva 84 anni ed era, oltretutto, un produttore discografico di rilievo, e nella sua edizione, la Beat Records, annoverava centinaia di colonne sonore, molte delle quali scritte da Ennio Morricone, il suo mentore, che lo chiamò per suonare le sue più belle e memorabili musiche da film: da "Per un pugno di dollari" a "Il buono il brutto e il cattivo", e il capolavoro già citato "C'era una volta il west".

Anche il grande Leonard Bernstein lo chiamò per l'indimenticabile colonna sonora di "West Sider Story" e Franco, puntualmente, piazzò la sua bella armonica nella colonna e nella storia di questo magnifico film.

Avevo lavorato con Franco De Gemini e lui era anche il mio editore di alcuni film dei quali avevo fatto la musica. Spesso, nel suo ufficio della Beat Records, alla Balduina, una zona di Roma vicino a Monte Mario, mi intratteneva suonandomi qualche vecchio e famoso brano con una delle sue tante armoniche che modificava lui stesso, per renderle consone alle sue molteplici esigenze artistiche.

A differenza di altri grandissimi armonicisti come il belga, 'Toots' Thielemans o Stevie Wonder, Franco non era un improvvisatore, un jazzista per intenderci. Lui aveva bisogno della partitura musicale, delle note scritte, perchè non era uno che "svisava", che improvvisava, appunto.
Ma leggendo quelle note, era capace di tirare fuori dallo strumento un suono unico, inimitabile, celestiale, ricco di pathos e di sensibilità, che ti sorprendeva ogni volta che lo ascoltavi. Quel suono che fece di Franco De Gemini un personaggio famosissimo nel mondo, soprattutto dopo la riscoperta, da parte di una enorme moltitudine di appassionati, dei film di Sergio Leone e delle sue colonne sonore. Franco era davvero famoso in tutto il mondo, e dove andava veniva accolto come una star.

Era un omone grande e grosso, burbero e buono, e sempre incline ad accoglierti con una battuta di spirito e una risata, quando andavi a trovarlo in ufficio, e accanto a lui la sua armonica che speravi tirasse fuori, prima o poi, per sentirgli fare ancora quel vibratino che solo lui sapeva fare, con lo strumento che spariva nascosto dalle sue manone a forma di coppa.

Cortese e gentile, con una sensibilità non comune che strideva con la sua gigantesca figura, Franco è stato un grande musicista ed un amico prezioso.
Ora è facile immaginarlo suonare la sua armonica tra gli angeli.

martedì 16 luglio 2013

Addio a Tonino Accolla, la voce di Eddy Murphy e Homer Simpson


 di Piero Montanari 

Ieri è morto a 64 anni all'ospedale Gemelli di Roma, dove era ricoverato in seguito ad una grave malattia, l'attore siracusano Tonino Accolla.
Era stata la voce italiana dei più grandi attori del cinema americano: da Tom Hanks a Mickey Rourke, da Hugh Grant a Jim Carrey, ma anche di Ben Stiller, Tim Curry e il cattivo Gary Oldman, quello di 'Léon' e de 'Il quinto elemento', nonché del personaggio Timòn nei film d'animazione della serie 'Il Re Leone' e Mike nel film 'Monsters & Co'.

Il successo popolare di Tonino gli venne però dall'aver doppiato Eddie Murphy in quasi tutti i film, e per aver regalato al comico afroamericano la sua famosa ed incontenibile risata col "decollo", un marchio che resterà indelebile fino alla sostituzione di Tonino con Sandro Acerbo, nel 2011.

Ma fu doppiando Homer Simpson nella versione italiana della famosa serie di cartoni americana, che Accolla, come fosse una grande star, raggiunse il suo massimo di popolarità, testimoniato ogni giorno dai tanti appassionati del cartone.
Per aver dato la voce a Kenneth Branagh in 'Enrico V', Accolla vinse anche il Nastro d'argento per il miglior doppiaggio eseguito nel 1991, ma fu anche direttore di doppiaggio di kolossal come 'Titanic' e 'Braveheart' e dei più grandi successi cinematografici degli ultimi 30 anni.

Conoscevo molto bene Tonino perchè alcuni anni fa venne nel mio studio a dirigere e doppiare 'Il Dottor Dolittle', il primo della fortunata serie di film con Eddie Murphy. In quel periodo c'era una serrata per uno sciopero degli studi a Roma e la Fox, società distributrice della pellicola, doveva assolutamente finire il film, già annunciato in uscita nei cinema, col rischio di brutta figura e di gettare via parecchi soldi di pubblicità. Quindi scelsero il mio studio di registrazione come ripiego, l'allestirono all'uopo, e ci stettero per un paio di settimane, facendomi "prestare" persino la voce a uno dei personaggi.

Ebbi, così, l'occasione di veder al lavoro il bravissimo Tonino, e capire che, prima di essere un professionista del doppiaggio, era davvero un grande attore, uno di razza, con una sensibilità ed un'intelligenza non normali, un geniaccio vero, con una forte personalità e una straordinaria contezza di sé che lo faceva apparire talvolta ostile agli altri, con un carattere insopportabile a detta di molti, ma che alla fine poi riusciva a "cavare" fuori dagli attori che dirigeva tutte le capacità, anche le più nascoste, che servivano a dare corpo all'idea che si era costruita nella testa del lavoro, fossero film da doppiare e dirigere o piece teatrali.
E c'era da starne certi che l'idea che Tonino si era fatta era quella giusta.

sabato 6 luglio 2013

In ricordo di Grazia Porcelli, vocalist dei Protagonisti


di Piero Montanari 
Oggi voglio ricordare un gruppo vocale di Milano, i Protagonisti, attivi sulla scena musicale dalla fine degli anni '60 e inizio dei '70. I componenti del quartetto vocale sono Oscar Avogadro, Luciano Bertagnoli, Mariuccia Sgroi e Grazia Porcelli (la prima a destra nella foto), che nell'ultimo periodo prende il posto di Raffaella Peruzzi. Si mettono in luce partecipando alla Caravella dei successi di Bari nel 1969 con Noi ci amiamo, che ottiene un discreto successo; incidono poi Questo ballo, che contiene sul retro una cover di una canzone di Bob DylanWigwam (tratta dall'album Self Portrait). Partecipano ad Un disco per l'estate 1970 con la canzone Un'avventura in più, che non supera la fase iniziale. Passano poi alla Dischi Ricordi e presentano al Festival di Sanremo 1971 il brano Andata e ritorno, che non entra in finale. Dopo lo scioglimento del gruppo Oscar Avogadro diventa un affermato paroliere e la Perruzzi ha una carriera da solista per qualche anno.
Bene, questa è la loro "piccola storia" musicale. Personalmente ho un ricordo bellissimo di Grazia Porcelli che per un periodo, tanti anni fa, quando suonavo in giro per l'Italia con Romano Mussolini, è stata mia amica e mi seguiva nei tour. Era una ragazza giovane e piena di vita, ricca di talento musicale e di ironia e le ho voluto molto bene. A lei devo alcune decisioni che riguardavano la mia storia personale  di quel momento (ero un ragazzino, nel 1971 e anche lei aveva 18 anni) e Grazia mi fece riflettere su molte cose che riguardavano il lavoro e la mia carriera musicale. Poi, come spesso succede, ci si lascia e ci si perde di vista, ad ognuno la sua vita, e ognuno per la sua strada.
Grazia però non l'ho mai dimenticata, come non si dimenticano le persone importanti che hai incontrato lungo il percorso. Oggi l'ho cercata sul web, come si fa spesso con gli amici che non senti da decenni, sperando di rintracciarla, e casualmente ho saputo che Grazia, purtroppo, non potrò più salutarla perchè non c'è più. Ho saputo anche che ha una figlia di nome Barbara che abbraccio. E' una cosa piuttosto triste, ma volevo ricordare con affetto Grazia Porcelli, che un giorno scrisse su un mio libro di musica: "Studia Piero, studia, che arriverai lontano...".
Non so se sono arrivato lontano,  di certo quelle poche parole di Grazia mi fecero bene. Un tenero abbraccio, ovunque tu sia.

venerdì 5 luglio 2013

Dai Antonello, non pensare alla Lazio, canta ancora!


di Piero Montanari
Anche Antonello Venditti, il popolare cantautore romano e romanista, scende in campo contro la nuova dirigenza americana dell'A.S. Roma, con parole dure e significative, foriere del malcontento che serpeggia nell'ambiente giallorosso per il magro raccolto degli ultimi due campionati, collimato con la sconfitta in Coppa Italia, proprio inflitta della Lazio.
Quelle di Antonello sono parole dettate dall'amarezza per una cattiva - fin'ora - campagna acquisti e anche per una voce che gira nella capitale che vorrebbe il suo inno, da parte della nuova società giallorossa, prossimo ad essere sostituito, e questo dopo aver cambiato anche il logo della squadra, non senza molte polemiche.
"Sarebbe carino - dice ad una radio romana il cantautore - se si potesse essere più partecipi di questa Roma. La Roma si regge sul suo nome e tu non puoi presentarti da Papa Francesco con la maglia dei Boston Celtics. Non si riesce a dare il valore giusto a questa parola, a questa città". E ancora: "Sinceramente l'inno della Roma mi piacerebbe se lo togliessero, perché non lo trovo più identificativo della squadra che conoscevo io."

L'inno ufficiale della Roma è Roma (non si discute si ama) meglio conosciuta come Roma Roma Roma, con testo di Antonello Venditti e Sergio Bardotti e musica dello stesso Antonello insieme a Giampiero Scalamogna, noto col nome d'arte di Gepy & Gepy. Fu cantato per la prima volta allo stadio olimpico nel 1974 e da allora non è mai stato cambiato.
In realtà esiste un inno n°2 che è Grazie Roma, scritto per lo scudetto del 1982 e contenuta nell'album Circo Massimo, là dove dice, in un eccesso di pronomi personali piuttosto cacofonici: "Grazie Roma, che ci fai piangere e abbracciar(ci) ancora, grazie Roma, grazie Roma."

Devo ammettere una vecchia amicizia con Antonello, ed anche una simpatica collaborazione nella produzione del primo disco di Rino Gaetano, almeno quarant'anni fa. Poi ci siamo frequentati saltuariamente, anche in convivi gradevoli, prima di perderci di vista e poco prima che la sua voce iniziasse stranamente ad avere una mutazione antropofonica, scaturendo così nel nuovo stile belante che sinceramente non mi spiego. Vorrei dirgli - con l'occasione e con sincero affetto - di ritornare ai suoi esordi, alla bella voce stile Cat Stevens che sfoggiava in questo inno della Roma davvero esaltante, e di smettere soprattutto di colorarsi i capelli con un nero che in natura non esiste, neanche quando si era ragazzi.
Gli vorrei dire tutto questo, da amico romanista, senza offesa, e che condivido anche le sue amarezze per questa nuova proprietà dell'amata Roma, lontana anni luce dallo spirito che aleggia tra i suoi tifosi, anche loro in evidente e pericolosa crisi d'identità.

Gli vorrei dire di stare tranquillo, al caro Antonello, che il suo Roma Roma Roma , se non lo farà lui stesso come ha minacciato, nessuno lo toglierà mai, se non altro dai cuori dei tifosi.
Lo giuro sui suoi occhiali Ray Ban.

mercoledì 29 maggio 2013

Little Tony rock, pupe e motori


Toronto, 1965 Little Tony e i Fedeli (io il primo a sx nella foto)
Toronto, 1965 Little Tony e i Fedeli (io il primo a sx nella foto)

di Piero Montanari
Quando nel 1965 Tony mi volle a suonare il basso elettrico nel suo gruppo, mi sentii come il giovane calciatore che viene ingaggiato per giocare con la sua squadra del cuore in serie A.
A quell'epoca Tony era il mio mito, ed il mito di una schiera di fan che si infittiva ogni giorno. Per noi musicisti emergenti i riferimenti musicali erano davvero pochi all'epoca: Tony a Roma e Celentano a Milano. Claudio Villa e suoi epigoni non volevamo neanche vederli fotografati, con i Beatles che si affacciavano in quel momento e la cui portata musicalmente devastante e rivoluzionaria non era neanche immaginabile. La prima volta che vidi una loro foto da quasi sconosciuti, mostratami da un compagno di liceo che era stato a Londra, mi misi a ridere e gli dissi: "Ma 'ndo vanno questi co 'sti capelli?" Avevo capito tutto.

Frequentavo da intruso pieno di aspettative la casa discografica romana di Tony, la Durium, a via S. Martino della battaglia, nel cuore della Roma umbertina. Era diretta dall'ingegner Caruana, e nella palazzina a due piani si consumavano ogni giorno jam session di rock'n roll e progetti di canzoni da scrivere, suonare e registrare, e io ogni tanto mi infilavo, in attesa del mio turno. Poi arrivava Little Tony rombante con la sua Ferrari e il suo ciuffo scompigliato, e noi in adorazione perché, oltretutto, interpretava anche perfettamente il modello di maschio vincente della nostra generazione un po' cogliona: auto sportive, le donne, la fama, il mito del successo e dei soldi. E poi "Il ragazzo col ciuffo" era anche belloccio, come racconta appunto questo suo primo grande successo dopo la parentesi inglese, e l'appellativo gli rimase incollato a vita, anche quando il ciuffo gli divenne bianco e poi tinto.

Di lì a poco le mie aspettative e la mia intraprendenza furono premiate, e iniziai un tour con lui, che per l'occasione aveva litigato per l'ennesima volta con i suoi amati e conflittuali fratelli, Enrico chitarrista eccellente ed Alberto, bassista.
Il gruppo divenne così "I Fedeli di Little Tony" e girammo per due anni suonando R&R e R&B tra Stati Uniti, Canada, Europa e Italia in lungo e in largo. Facemmo anche varie apparizioni in tv e un film 'musicarello', Un gangster venuto da Brooklyn, col grande Akim Tamiroff che ogni tanto ancora oggi passano di notte.

Poi ci si divise come spesso accade nei gruppi musicali, e Tony tornò a suonare con i fratelli. Ma ci si incontrava casualmente, ogni tanto.
In uno di questi incontri, un viaggio aereo Roma-Milano, erano passati più di vent'anni da quei giorni e anche molta politica e ideologia, tra '68 e femminismo, cose con le quali avevo fatto i conti. C'era Tony ed io ero con un altro "grande" degli anni '60, Don Backy. Subito loro iniziarono a raccontarsi dei vecchi Cantagiro, Festivalbar, Saint Vincent, e Tony inizia subito a parlare di quante donne avesse in quel periodo e di com'era bella la vita tra auto sportive e lusso sfrenato. Ricordo che mi infastidì ritrovare lo stesso ragazzo di vent'anni prima, semplice e non cresciuto idealmente, e così iniziai nei suoi confronti un pistolotto rompiscatole ideologico e moralista, sul femminismo, sulla coscienza collettiva, il '68, le rivolte studentesche, sul fatto che lui era rimasto attaccato a quel clichè vecchio e stantio.
Mentre l'aereo scendeva e io parlavo senza sosta, rimase zitto ad ascoltarmi per venti minuti, e quando mi tacqui disse: "A Pierì, ma che stai a dì, ma mica l'ho capito bene che m'hai raccontato!"

Premio alla Cultura

PREMI SPECIALI

A BENEMERITI DELLA CULTURA

(Trofeo di Cristallo e Medaglia d’oro del Presidente dell’Ass. Cult. “P. Raffaele Melis O.M.V.”)

Musicista Regista Maestro PIERO MONTANARI
Roma

Premio “Francesco Di Lella”

“Per avere contribuito con la musica e la regia all’evoluzione ed all’affermazione di attori e cantanti di chiara fama nazionale ed internazionale, lasciando un segno vivo nel panorama cinematografico e musicale italiano, senza mai desistere anche in un periodo così difficile ed arduo come l’attuale.”

Firmato Augusto Giordano, Getulio Baldazzi, P.Ezio Bergamo, Rita Tolomeo, Maurizio Pallottí, Domenico Di Lella, Maria Fichera, Gianni Farina, Rita Pietrantoni, Paola Pietrantoni, Domenico Gilio.

Il premio sarà conferito il 13 giugno 2010 alle ore 16 al teatro S. Luca, in via Lorenzo da' Ceri 136 - Roma.

Esce il cofanetto della mitica trasmissione!

Esce il cofanetto della mitica trasmissione!
Finalmente nelle librerie "L&H:2 Teste senza cervello", libro e Dvd con la summa delle puntate migliori e, udite udite, dialoghi ANCHE IN ORIGINALE . Lo abbiamo presentato da MelBookStore il 30 giugno 09. C'era Italo Moscati, persona di straordinaria cultura e spessore umano. Con quella di Giancarlo le due 'memorie' si intersecavano a meraviglia! Due teste con parecchio cervello...SE TI INTERESSA COMPRARLO, CLICCA SULL'IMMAGINE!

Al Parco di S. Sebastiano

Al Parco di S. Sebastiano
Con Guido De Maria e Giancarlo Governi, i padri di SUPERGULP!

Celebriamo SUPERGULP!

Celebriamo SUPERGULP!
Talk Show con Giancalo e Guido al "Roma Vintage Festival", 16 giugno 2009 dedicato allo storico programma Rai

Celebriamo Gabriella Ferri

Celebriamo Gabriella Ferri
Con Giancarlo

...e Rino Gaetano

...e Rino Gaetano
Con Giancarlo

...ancora Rino

...ancora Rino

Con sua sorella Anna Gaetano e Giancarlo

Con sua sorella Anna Gaetano e Giancarlo
In omaggio a Rino, quella sera ho cantato "I love you Maryanna", primo disco di Rino, prodotto da me e da Antonello Venditti nel 1973. Con Rino feci un tour nel 1979. Alla batteria c'era Massimo Buzzi, alle chitarre Nanni Civitenga e Rino e io al basso. Il 'road manager' era Franco Pontecorvi che oggi vive come me sui Castelli Romani e vende occhiali.

Serata Supergulp

Serata Supergulp
Venerdì 17 luglio '09 al Parco S. Sebastiano (Caracalla) all'interno di Roma Vintage, verrà ripetuta la serata dedicata alla genesi del mitico programma televivivo. Parteciperanno Giancarlo Governi, Guido De Maria e Piero Montanari (me stesso...). Appassionati intervenite!

Un giovane promettente...

Un giovane promettente...
Luca, il giorno che si è vestito bene per il suo saggio di pianoforte. Sarà pur vero che "ogni scarrafone è bello a mamma soia", ma ci saranno pure degli scarrafoni universalmente belli, o no?

Maggio 2008: un piacevole incontro

Maggio 2008: un piacevole  incontro
Dopo più di vent'anni ho rivisto l'amico Giorgio Ariani, grande attore e voce ufficiale Italiana di Oliver Hardy (Ollio). Nel 1985 realizzammo la sigla di "2 Teste senza cervello" e Giorgio, con Enzo Garinei (Stanlio) doppiò una marea di film della coppia per i quali realizzai le musiche.

Una gita al "Giardino dei Tarocchi"

Una gita al "Giardino dei Tarocchi"
A Capalbio (Gr.) c'è un posto magico da visitare, con opere d'arte tra ulivi e macchia mediterranea, opera dell'architetta Niky De St. Phalle che ha realizzato in 20 anni un percorso di magnifiche statue ispirate ai Tarocchi, le magiche carte che predicono il futuro...Dato il suo nome, è meta di "sole" e personaggi cosiddetti " taroccati". Wanna Marchi e sua figlia sono state spesso viste aggirarsi tra le magnifiche statue!

Diana Nemi 2007/2008

Diana Nemi 2007/2008
Da sx alto: Samuele, Emanuele, Federico R., Lorenzo, Matteo, Edoardo, il Mister Eugenio Elisei. Sotto:Simone, Luca, Daniele, Valerio, Riccardo, Federico C.

Luca e Pedro 'Piedone' Manfredini

Luca e Pedro 'Piedone' Manfredini
Col mio "idolo" calcistico di ieri

Luca e Francesco Totti

Luca e Francesco Totti
Col suo "idolo" calcistico di oggi

Luca Montanari

Luca Montanari
Il calciatore. Questa stagione, la prima di campionato con i pulcini della "Diana Nemi", è capocannoniere. Ha messo a segno ben 43 reti e tutte senza rigori, ma ventidue su calci piazzati!

Luca Montanari

Luca Montanari
Nel momento della premiazione

Daniele Serafini

Daniele Serafini
La premiazione

A S D Diana Nemi Pulcini '98. Anno 2006 -'07

A S D Diana Nemi Pulcini '98. Anno 2006 -'07
Da sx della foto: Samuele, Matteo, Riccardo,Federico, Wulnet, Carlo, Luca, Daniele. Seduto con il pallone, una vera pestilenza, Federico Rosselli. Dobbiamo dire grazie alla pazienza infinita del Mister Eugenio Elisei, che più volte ha pensato di mollare la squadra e dedicarsi alle missioni in Angola - E' meno faticoso - mi ha detto, disperato, alla fine di un allenamento.

Allenamenti anno 2007-2008

Allenamenti anno 2007-2008
Il mio secondo figlio unico...

Matteo Montanari

Matteo Montanari
Il mio primo figlio unico...

Ado e Sania Montanari

Ado e Sania Montanari
The Peter's Sisters

La Roma tra la "B" e la "A" 1951-1952

La Roma tra la "B" e la "A" 1951-1952
Memmo Montanari (primo a dx nella foto) con i suoi tifosi in una trasferta della Roma. La foto è stata scattata al ritorno da Verona il 22 giugno 1951. Solo dopo quella partita la Roma ebbe la certezza di tornare in serie A

Memmo Montanari, capo dei tifosi, in azione nel suo poderoso incitamento alla squadra.

Memmo Montanari, capo dei tifosi, in azione nel suo poderoso incitamento alla squadra.
Mio padre, che si diceva fosse danaroso, quando morì era povero. Qualcuno nel nostro quartiere Celio racconta ancora che comprava i giocatori alla Roma...

Mio padre al centro dei vip della Roma

Mio padre al centro dei vip della Roma
Ricordo questa foto da sempre. Quella che avevamo in casa aveva un ritocco fatto a mano da non so chi (forse mio padre stesso). Il "pittore" aveva dipinto a tutti pantaloncini da calcio e gambe nude! In quel periodo glorioso nasce il giornale "Il Giallorosso" che contribuì attivamente alla ricostruzione della Roma. Fu fondato da mio padre, Angelo Meschini (capi storici di allora del tifo romanista) e dai fratelli Mario e Peppino Catena (soci della Roma) con la collaborazione dell'avvocato Alberto Saccà, con cui mio padre, nei miei ricordi da piccolo, aveva rapporti conflittuali.

Il Giallorosso

Il Giallorosso
Testata del giornale dei tifosi della Roma fondato da mio padre nel 1952. Ero piccolino e ricordo quel giorno che mi fece vedere le bozze...ricordo la finestra della mia camera sulla Piazza, al civico 4, ed il Colosseo davanti.

Pop & Jazz History

Pop & Jazz History
Sonorizzazione

1970 Pop Maniacs

1970 Pop Maniacs
Qui ci sono anche le musiche di Spyderman e i Fantastici Quattro che feci nel 1977 per Supergulp!

Il Pianeta Totò

Il Pianeta Totò
Fotogramma della sigla di Mario Sasso per la prima trasmissione di Rai 2 sul grande attore. Gli occhi di Totò si muovevano a tempo con una mia tarantella che si trasformava via via in rock sulle note di Malafemmena.

Laurel & Hardy

Laurel & Hardy
Logo originale della trasmissione

Laurel & Hardy

Laurel & Hardy
Un fotogramma della sigla di "Due teste senza cervello". Ci lavorò a lungo il videoartista Mario Sasso, alla SBP di Roma, con Virginia Arati che dipingeva elettronicamente 'frame by frame', con un computer costosissimo della Quantel che si chiamava appunto Paintbox. Credo che questa sigla sia stata la prima in Tv ad essere realizzata con questa straordinaria tecnica.

Il mio recording studio

Il mio recording studio
La regia

studio

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La sala di ripresa

studio

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la regia

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La regia

Il ritorno di Ribot 1991

Il ritorno di Ribot 1991
Uno sceneggiato interpretato dal grande cantante e attore franco-armeno Charles Aznavour e Delia Boccardo, diretto da Pino Passalacqua per Rai1 e Antenne2 con la colonna sonora composta da me.

Processo di famiglia di Nanni Fabbri, 1992 per Rai1

Processo di famiglia di Nanni Fabbri, 1992 per Rai1
Alessandra Martinez, protagonista del film in due puntate con la mia colonna sonora.

Le Gorille

Le Gorille
Serie TV franco anglo italiana che riprende dei film del 1957-58 con Lino Ventura. Il personaggio è Geo Paquet, agente segreto francese, Di questa serie ho musicato 2 episodi, per la regia di Maurizio Lucidi e Duccio Tessari

Top model

Top model
Film con D'Amato

Top model

Top model
Stesso film uscito in Grecia

Top girl

Top girl
Film sequel di D'Amato. Beh, dopo tutte ste top, non poteva mancare la girl!

High finance woman

High finance woman
Altro film di D'Amato con le mie musiche