di Piero Montanari
Mi colpisce la morte di Carlo Lizzani, per le modalità praticamente identiche a quelle di un altro grande regista italiano suicidatosi come lui, Mario Monicelli. Una connessione tragica di storie simili quella loro, per carriera, età e disperazione.
Novantuno anni Lizzani, novantacinque Monicelli. Mario se ne andò gettandosi dal quinto piano del reparto urologia del San Giovanni di Roma, dove era ricoverato per un tumore alla prostata in fase terminale. Conoscendo la persona che era, ci avrà pensato un secondo a farla finita. Era un uomo con un grandissimo rispetto di se, e il solo pensare di finire i suoi giorni in un letto d'ospedale deve averlo fortemente motivato per quell'ultimo tragico gesto.
Lizzani non mi risultava stesse male, ma possiamo immaginare che i suoi novantuno anni gli devono essere pesati come un macigno, se ha deciso di gettarsi dal balcone del terzo piano della sua casa di via dei Gracchi, in Prati.
Una sorte tragica che accomuna due grandi registi, due straordinari artisti, nello stesso modo disperato e teatrale di morire, fa pensare fortemente a qualcosa che non funziona nella vita e nella società stessa che spesso, troppo spesso dimentica con facilità personaggi che fanno parte della nostra storia, relegandoli nell'oblio, invece di star loro vicino nei momenti più difficili.
Immagino tutti e due, Monicelli e Lizzani, nella solitudine delle loro vecchiaie e delle loro malattie, ricordare la straordinaria avventura delle loro vite vissute con pienezza e successo - che pochi fortunati possono vantare - e nell'insopporabilità di un triste presente e di un futuro certamente breve e doloroso là ad attenderli, porre fine alle loro vite in un ultimo, disperato gesto di gloria.
Novantuno anni Lizzani, novantacinque Monicelli. Mario se ne andò gettandosi dal quinto piano del reparto urologia del San Giovanni di Roma, dove era ricoverato per un tumore alla prostata in fase terminale. Conoscendo la persona che era, ci avrà pensato un secondo a farla finita. Era un uomo con un grandissimo rispetto di se, e il solo pensare di finire i suoi giorni in un letto d'ospedale deve averlo fortemente motivato per quell'ultimo tragico gesto.
Lizzani non mi risultava stesse male, ma possiamo immaginare che i suoi novantuno anni gli devono essere pesati come un macigno, se ha deciso di gettarsi dal balcone del terzo piano della sua casa di via dei Gracchi, in Prati.
Una sorte tragica che accomuna due grandi registi, due straordinari artisti, nello stesso modo disperato e teatrale di morire, fa pensare fortemente a qualcosa che non funziona nella vita e nella società stessa che spesso, troppo spesso dimentica con facilità personaggi che fanno parte della nostra storia, relegandoli nell'oblio, invece di star loro vicino nei momenti più difficili.
Immagino tutti e due, Monicelli e Lizzani, nella solitudine delle loro vecchiaie e delle loro malattie, ricordare la straordinaria avventura delle loro vite vissute con pienezza e successo - che pochi fortunati possono vantare - e nell'insopporabilità di un triste presente e di un futuro certamente breve e doloroso là ad attenderli, porre fine alle loro vite in un ultimo, disperato gesto di gloria.
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