di Piero Montanari
Dieci
anni fa il 29 novembre 2001, per un tumore al cervello, moriva George Harrison,
il "quiet Beatle" il Beatle tranquillo, come veniva chiamato dai fan.
Era
la chitarra solista dei Fab Four, quella che disegnava le melodie negli
intervalli del canto. Ho sempre pensato che non fosse tecnicamente un eccelso
chitarrista ma, come per Ringo con la batteria, con un bel suono, semplice e
pulito, con le linee melodiche intelligenti ed alcuni "assolo" da antologia,
come quello, solo per citarne uno, della sua "Something", una delle
più belle canzoni d'amore mai scritte.
A
George - come per Ringo - non era dato scrivere brani per il gruppo (a questo
pensavano mirabilmente John e Paul), tuttavia ne compose 22, tra i quali While
My Guitar Gently Weeps, Here Comes the Sun e quindi la splendida Something, che
di certo segnò il suo apice massimo.
Fu
il primo dei Beatles ad interessarsi alla cultura indiana, molto in voga a quel
tempo, tanto da coinvolgere anche il resto del gruppo, trascinandolo in India a
meditare con il Santone Maharishi Mahesh Yogi.
Iniziò
a studiare il Sitar - la chitarra classica monotonale indiana - con un altro
grande maestro, Ravi Shankar e probabilmente fu proprio a seguito di ciò che il
gruppo prese la rotta per le Indie.
In
realtà George non abbandonò mai più questa sua religiosità e il suo cammino spirituale.
Spesso ripeteva: "Tutto può attendere, non la ricerca di Dio e amatevi
l'un l'altro" ed ancora, esercitando la modestia dei grandi:
"Nell'insieme non avrebbe proprio importanza se non avessimo mai fatto
dischi o cantato una canzone. Non è importante quello. Quando muori avrai
bisogno di una guida spirituale e di una conoscenza interiore che vada oltre i
confini del mondo fisico. Con queste premesse direi che non ha molta importanza
se sei il re di un paese, il sultano del Brunei o uno dei favolosi Beatles;
conta quello che hai dentro. Alcune delle migliori canzoni che conosco sono
quelle che non ho scritto ancora, e non ha neppure importanza se non le
scriverò mai perché sono un niente se paragonate al Grande Quadro".
Deve
essergli stata di grande aiuto la sua spiritualità, quel giorno a Los Angeles,
nella villa di Ringo Starr a Beverly Hills, quando ha avvertito che stava per
raggiungere il suo Krishna, a 58 anni, confortato dai suoi amici e dalla sua
seconda amatissima moglie Olivia.
Per
10 anni, dal 1960 al 1970, con oltre un miliardo di dischi venduti, era stato e
"il più grande e famoso chitarrista del mondo", all'interno di quella
straordinaria ed irripetibile meteora che furono "The Beatles".
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