ROMANO MUSSOLINI: UNA STORIA DI MUSICA
Una storia straordinaria e tragica di un uomo che, invece di fare a pugni con la Storia, si mette a suonare il piano e che attraversa proprio un pezzo di quella storia drammatica. E poi il Jazz come comun denominatore, come colonna sonora, come collante alla storia. Roma e i suoi personaggi della dolce vita, i delitti, gli scandali e il Jazz nei locali di via Veneto. Romano ci ha accompagnato con il suo jazz attraverso quel mondo affascinante. Questo mio ricordo è per onorare la memoria di un grande amico.
La vita di Romano è stata sempre caratterizzata da due elementi fortissimi della sua personalità, ambedue equivalenti ed in netto contrasto fra loro: la pesantezza del cognome che si portava dietro, con il suo percorso tragico e i giudizi della Storia e delle persone che incontrava, e il suo carattere allegro e gioviale, tendente alla giocosità ed alla goliardia, una leggerezza talvolta scambiata per superficialità, una lievità che utilizzava per sopravvivere.
Del suo cognome aveva un forte pudore ma, al tempo stesso ne andava fiero. Ricordo che spesso, quando lo pronunciava per presentarsi, lo faceva sottovoce, come se avesse paura che l’interlocutore si potesse sconvolgere al suono di quella parola: “Salve, sono ROMANO Mussolini” laddove Romano era pronunciato forte e Mussolini sembrava un soffio. Però guai a chi si permetteva di dare giudizi! Perdeva la sua allegria e si infuriava moltissimo, anche se non mi è mai capitato di assistere a scene spiacevoli nei suoi confronti. Piuttosto sembrava che chiunque lo avvicinasse, ne avesse timore e rispetto e spesso aveva straordinarie manifestazioni d’affetto corredate da calorose strette di mano, abbracci e baci, parole di elogio per suo padre che peraltro lui liquidava timidamente con ringraziamenti sommessi.
Mi meravigliavo sempre dei consensi che otteneva non solo come pianista ma soprattutto come figlio del duce, ed ero sorpreso che mai nessuno gli si parasse davanti minacciandolo – Ehi, tu sei il figlio di un dittatore pazzo che ha distrutto l’Italia e ti odio! – Come dicevo, gli si avvicinavano persone che lo riconoscevano o sapevano chi era e lo abbracciavano, ricoprendolo di elogi per suo padre, la sua famiglia e il fascismo. Alcuni piangevano e lo baciavano, altri gli chiedevano un autografo sulla tessera del Msi, il rinato partito fascista di Giorgio Almirante, ma mai nessuno che lo abbia insultato. Spesso le persone si rivolgevano a me che gli ero vicino e con voce sognante mi dicevano – E’ tutto suo padre! – E io mi incazzavo, pensando che lui da suo padre era altro e che in Italia c’erano veramente ancora milioni di nostalgici fascisti con la memoria corta. A quel tempo, si parla degli anni ’70, ero molto a sinistra e in giro con Romano si mandava giù qualche boccone politico non proprio squisito.
Era timido, si diceva, ma goliarda e buontempone, incline al “cazzeggio”, sempre con la battuta pronta e con la voglia di ridere. Aveva terrore di tutto ciò che potesse essere serio. Sembrava non volesse mai approfondire le cose o impegnarsi più di tanto, come se volesse sempre veleggiare leggero al di sopra di tutto, come se la sua nevrosi lo obbligasse ad alleggerire anche le tragedie o gli imprevisti più drammatici.
Per via di questa timidezza era un po’ goffo e spesso impacciato, ma davanti al pianoforte si trasformava in un musicista possente e trascinatore. Suonava il piano jazz meravigliosamente e lo suonava senza averlo mai studiato, nel senso canonico.
Lo conobbi nell’inverno del 1970 perché venne nel locale dove suonavo. Era un sotterraneo ben arredato dell’Hotel Ludovisi, vicino via Veneto, che il grande clarinettista americano Tony Scott che lo aveva in gestione, aveva battezzato come “Tony Scott’s Music Sanctuary”. Tony mi aveva assunto come bassista per poche lire per suonare fino alle cinque del mattino sempre lo stesso spettacolo di jazz ripetuto in vari “set” e senza variazioni. Mi ricordo che dopo due settimane il batterista Roberto Spizzichino si diede alla fuga perché non resisteva più alle angherie di Tony. Personalmente mi feci forza e rimasi. Ero un discreto bassista ma inesperto e non conoscevo molti brani di jazz. Una sera venne Romano e nacque una jam session. Chiese di suonare un brano inusuale che era un cavallo di battaglia di Oscar Peterson, dal titolo “Woodin you”. Casualmente era uno degli unici due standard di jazz che conoscevo e suonai benissimo. Alla fine Romano si complimentò con me e mi chiese se volessi accompagnarlo per una serie di concerti. Ovviamente accettai, anche se dovetti confessargli che non conoscevo molto il jazz.
In seguito fu paziente con me e mi insegnò molte cose, non solo musicalmente. Gli interminabili viaggi in macchina insieme a lui per andare a suonare furono per me una scuola di vita e un percorso di formazione. Romano è stata una delle persone più importanti che ho incontrato e ha avuto, tra i tanti, il merito di diffondere la cultura jazzistica nel nostro paese. Ha tenuto a battesimo, come me, decine di altri musicisti che ha aiutato e sostenuto nella carriera con i concerti. Con il jazz si mangiava davvero poco e Romano era sempre carico di lavoro. Grazie alla sua bravura e alla curiosità per il suo cognome, non gli era difficile trovarne.
La sua vita è stata la testimonianza di un periodo irripetibile e bellissimo per il jazz italiano di cui Romano Mussolini è stato sicuramente una stella.
La sua morte, avvenuta il 3 febbraio del 2006, mi ha lasciato molto più solo.
Una storia straordinaria e tragica di un uomo che, invece di fare a pugni con la Storia, si mette a suonare il piano e che attraversa proprio un pezzo di quella storia drammatica. E poi il Jazz come comun denominatore, come colonna sonora, come collante alla storia. Roma e i suoi personaggi della dolce vita, i delitti, gli scandali e il Jazz nei locali di via Veneto. Romano ci ha accompagnato con il suo jazz attraverso quel mondo affascinante. Questo mio ricordo è per onorare la memoria di un grande amico.
La vita di Romano è stata sempre caratterizzata da due elementi fortissimi della sua personalità, ambedue equivalenti ed in netto contrasto fra loro: la pesantezza del cognome che si portava dietro, con il suo percorso tragico e i giudizi della Storia e delle persone che incontrava, e il suo carattere allegro e gioviale, tendente alla giocosità ed alla goliardia, una leggerezza talvolta scambiata per superficialità, una lievità che utilizzava per sopravvivere.
Del suo cognome aveva un forte pudore ma, al tempo stesso ne andava fiero. Ricordo che spesso, quando lo pronunciava per presentarsi, lo faceva sottovoce, come se avesse paura che l’interlocutore si potesse sconvolgere al suono di quella parola: “Salve, sono ROMANO Mussolini” laddove Romano era pronunciato forte e Mussolini sembrava un soffio. Però guai a chi si permetteva di dare giudizi! Perdeva la sua allegria e si infuriava moltissimo, anche se non mi è mai capitato di assistere a scene spiacevoli nei suoi confronti. Piuttosto sembrava che chiunque lo avvicinasse, ne avesse timore e rispetto e spesso aveva straordinarie manifestazioni d’affetto corredate da calorose strette di mano, abbracci e baci, parole di elogio per suo padre che peraltro lui liquidava timidamente con ringraziamenti sommessi.
Mi meravigliavo sempre dei consensi che otteneva non solo come pianista ma soprattutto come figlio del duce, ed ero sorpreso che mai nessuno gli si parasse davanti minacciandolo – Ehi, tu sei il figlio di un dittatore pazzo che ha distrutto l’Italia e ti odio! – Come dicevo, gli si avvicinavano persone che lo riconoscevano o sapevano chi era e lo abbracciavano, ricoprendolo di elogi per suo padre, la sua famiglia e il fascismo. Alcuni piangevano e lo baciavano, altri gli chiedevano un autografo sulla tessera del Msi, il rinato partito fascista di Giorgio Almirante, ma mai nessuno che lo abbia insultato. Spesso le persone si rivolgevano a me che gli ero vicino e con voce sognante mi dicevano – E’ tutto suo padre! – E io mi incazzavo, pensando che lui da suo padre era altro e che in Italia c’erano veramente ancora milioni di nostalgici fascisti con la memoria corta. A quel tempo, si parla degli anni ’70, ero molto a sinistra e in giro con Romano si mandava giù qualche boccone politico non proprio squisito.
Era timido, si diceva, ma goliarda e buontempone, incline al “cazzeggio”, sempre con la battuta pronta e con la voglia di ridere. Aveva terrore di tutto ciò che potesse essere serio. Sembrava non volesse mai approfondire le cose o impegnarsi più di tanto, come se volesse sempre veleggiare leggero al di sopra di tutto, come se la sua nevrosi lo obbligasse ad alleggerire anche le tragedie o gli imprevisti più drammatici.
Per via di questa timidezza era un po’ goffo e spesso impacciato, ma davanti al pianoforte si trasformava in un musicista possente e trascinatore. Suonava il piano jazz meravigliosamente e lo suonava senza averlo mai studiato, nel senso canonico.
Lo conobbi nell’inverno del 1970 perché venne nel locale dove suonavo. Era un sotterraneo ben arredato dell’Hotel Ludovisi, vicino via Veneto, che il grande clarinettista americano Tony Scott che lo aveva in gestione, aveva battezzato come “Tony Scott’s Music Sanctuary”. Tony mi aveva assunto come bassista per poche lire per suonare fino alle cinque del mattino sempre lo stesso spettacolo di jazz ripetuto in vari “set” e senza variazioni. Mi ricordo che dopo due settimane il batterista Roberto Spizzichino si diede alla fuga perché non resisteva più alle angherie di Tony. Personalmente mi feci forza e rimasi. Ero un discreto bassista ma inesperto e non conoscevo molti brani di jazz. Una sera venne Romano e nacque una jam session. Chiese di suonare un brano inusuale che era un cavallo di battaglia di Oscar Peterson, dal titolo “Woodin you”. Casualmente era uno degli unici due standard di jazz che conoscevo e suonai benissimo. Alla fine Romano si complimentò con me e mi chiese se volessi accompagnarlo per una serie di concerti. Ovviamente accettai, anche se dovetti confessargli che non conoscevo molto il jazz.
In seguito fu paziente con me e mi insegnò molte cose, non solo musicalmente. Gli interminabili viaggi in macchina insieme a lui per andare a suonare furono per me una scuola di vita e un percorso di formazione. Romano è stata una delle persone più importanti che ho incontrato e ha avuto, tra i tanti, il merito di diffondere la cultura jazzistica nel nostro paese. Ha tenuto a battesimo, come me, decine di altri musicisti che ha aiutato e sostenuto nella carriera con i concerti. Con il jazz si mangiava davvero poco e Romano era sempre carico di lavoro. Grazie alla sua bravura e alla curiosità per il suo cognome, non gli era difficile trovarne.
La sua vita è stata la testimonianza di un periodo irripetibile e bellissimo per il jazz italiano di cui Romano Mussolini è stato sicuramente una stella.
La sua morte, avvenuta il 3 febbraio del 2006, mi ha lasciato molto più solo.
1 commento:
Oggi sono entrato. Il tuo blog è interessante. Tornerò a visitarti. per ora ciao e un caloroso abbraccio.
Posta un commento