Musicista, bassista, compositore, autore di musiche per il cinema e la televisione, produttore discografico ed editore con VIVAVOCE MUSIC. Ha suonato con i più grandi artisti della scena pop e jazz: LITTLE TONY, ZERO, BAGLIONI, DE GREGORI, GAETANO, DANIELE, ARBORE, CONTE, MINGHI, CAPUTO, GRAZIANI, MUSSOLINI, T.SCOTT e moltissimi altri. Un po' di storia di ieri e di oggi tra arte, musica e spettacolo.
giovedì 31 maggio 2007
Intervista sulle sigle TV
lunedì 28 maggio 2007
Un grande artista dimenticato
Ogni tanto mi dimentico di ricordarlo come meriterebbe fosse fatto da tutto il mondo dello spettacolo (quello non rutilante). Il 27 aprile scorso avrebbe compiuto 95 anni e con lui ho avuto l'onore di realizzare, come musicista, un programma per Rai 2 lungo un anno, tra progettazione, scelta dei suoi brani famosi (tantissimi), messa in opera di un mega concerto a Bologna ricco di difficoltà, perchè Renato era già ammalato.
Il programma si chiamava "C'era una volta io...Renato Rascel" di Giancarlo Governi e raccontava, attraverso la sua testimonianza, la storia della sua vita artistica e privata.
Di seguito c'è la "voce Renato Rascel" tratta da Wikipedia. E' fredda e distante, come tutte le biografie scritte sulle enciclopedie, ma utile alle giovani generazioni che probabilmente non sanno neanche chi è stato questo grande attore .
Renato Rascel (Torino, 27 aprile 1912 - Roma, 2 gennaio 1991) è stato un attore e cantante italiano.
Il suo vero nome era Renato Ranucci.
Comico tra i più popolari in Italia per una cinquantina d'anni, grazie a un sense of humour surreale, a una piccola statura che diventava essa stessa elemento di simpatia e autoironia e a delle più che discrete doti canore che sfoderò anche sul palco del Festival di Sanremo, dove nel 1960, vinse in coppia con Tony Dallara cantando Romantica. Presentò poi la stessa canzone all'Eurofestival dove si classificò ottavo. Il suo grande successo è però Arrivederci Roma, brano ancora tra i più noti e popolari per descrivere le bellezze della Città Eterna. Sul versante della canzone umoristica, indimenticabili alcune macchiette come Il corazziere (forse il suo capolavoro, quanto a invenzioni lessicali e nonsense), Napoleone e È arrivata la bufera.
Ma Rascel era anche un attore serissimo, come provano almeno tre film degli anni '50: Il cappotto (1952) di Alberto Lattuada, per cui ebbe il Nastro d'argento della critica italiana, La passeggiata (1953), ispirato come il precedente a Gogol e dall'attore anche diretto, e Policarpo ufficiale di scrittura (1959) di Mario Soldati, dove interpretava umili malinconici personaggi con sensibilità e leggerezza.
I suoi maggiori successi sono a teatro, nella rivista musicale del duo Garinei e Giovannini, con spettacoli come Attanasio cavallo vanesio, Un paio d'ali e Alleluja brava gente. Successi travolgenti di pubblico.
In televisione si dedica soprattutto a comparsate che ne rinnovano la popolarità ma senza lasciare troppo il segno. Con una eccezione: nel 1970 è il simpatico prete-detective protagonista del telefilm I racconti di padre Brown tratto dalle opere di Gilbert Keith Chesterton.
giovedì 24 maggio 2007
Notizia che puzza di orwelliano Grande Fratello...
GOOGLE PUNTA A ORIENTARE IL NOSTRO FUTURO
LONDRA - (Ansa, 24 maggio '07)
venerdì 18 maggio 2007
La Roma vince La Coppa Italia
Due considerazioni su Totti, che ha fatto una stagione straordinaria: questa coppa ha per lui un valore speciale, addirittura più forte del campionato mondiale vinto in Germania, se vogliamo. Là era l'ombra del Totti che conoscevamo, convalescente e affaticato dal superlavoro cui si era sottoposto per rientrare velocemente. Secondo posto e coppa Italia sono la dimostrazione del ritorno di questo grandissimo campione, simbolo della Roma e di un calcio pulito.
lunedì 14 maggio 2007
Notizia che puzza di monopolio TV...
2007-05-14 12:33 |
MEDIASET ACQUISTA ENDEMOL PER 2,6 MILIARDI |
MILANO - Mediaset ha firmato l'accordo per l'acquisto del 75% di Endemol per 2,629 miliardi di euro. L'accordo e' stato firmato con Telefonica attraverso Mediacinco Cartera, Cyrte Fund e Gs Capital per l'acquisto del 99,7% di Endemol Investment, che detiene il 75% della societa' operativa quotata Endemol Nv. L'intesa prevede il lancio appena possibile di un'Opa sul rimanente 25% del capitale ad un prezzo di 25 euro per azione. Mediaset e Telecinco investiranno complessivamente fino a un massimo di circa 486 milioni di euro attraverso il veicolo Mediacinco Cartera. L' operazione e' naturalmente subordinata all'approvazione dell'Autorita' competente. Gli acquirenti sono stati assistiti da Mediobanca e Goldman Sachs. Resterà da capire se Berlusconi e Confalonieri diventeranno, con questa operazione, soci della Rai...Forse ci obbligheranno a bruciare i televisori in piazza, cosicchè ci toccherà imparare a memoria tutte le battute del Grande Fratello, per i posteri. |
Chanel n. 2
domenica 13 maggio 2007
Giancarlo Governi e la Barzelletta
Ho scritto queste tre cartelline sulla barzelletta (ma tu dici: con tutto quello che hai da fare, ti metti pure a perdere tempo con la critica della barzelletta? Embè! Non possono essere cazzi mia?), e le dedico a uno dei miei "fornitori abituali".
Ciao
Giancarlo
Alzi la mano il barzellettaro (così si chiama chi racconta le barzellette, e non barzellettiere, come si sente dire in qualche trasmissione televisiva) che non si è mai sentito fare la domanda : "Chi inventa le barzellette ?". Già, chi le inventa .. E questo è il primo mistero legato alla barzelletta. Il secondo è l'etimologia della parola. Tutti i dizionari della lingua italiana parlano di etimo incerto: lo Zingarelli, il Devoto-Oli, persino il monumentale Vocabolario della Enciclopedia Italiana. Soltanto l'ultimo uscito, il DISC, azzarda un'ipotesi: forse dal francese bergerette, pastorella, un nome derivato dalla antica origine villereccia della barzelletta che era una "breve e rapida canzone a ballo popolare, composta di settenari e ottonari...". Qualcosa che faceva divertire i villici di alcuni secoli fa e che alla fine del secolo scorso si trasformò in qualcosa che faceva divertire i borghesi. Perché la barzelletta così come la conosciamo, e la pratichiamo oggi, ha poco più di un secolo.
Alla prima domanda (chi le inventa ?) non cerca di rispondere neppure Achille Campanile che nel 1961 redasse un dotto e semiserio, alla sua maniera, Trattato delle barzellette "con florilegio, silloge, repertorio, divisione per materie, enciclopedia alfabetica e storica, ad uso delle scuole, Università, famiglie, comunità, signore sole, viaggiatori, tipi sedentari e professori della Sorbona". Seguono alcune centinaia di pagine in cui si danno consigli ai barzellettari ma nessuna risposta all'annoso quesito.
Posso azzardarne una io, partendo dal fatto che la barzelletta si tramanda oralmente, come anticamente - prima cioè della meccanizzazione, e della standardizzazione, della comunicazione con dischi, libri, film, giornali ecc. - si tramandavano le canzoni, i racconti e persino le notizie. Nella tradizione orale, si sa, il portatore, colui cioè che ha ricevuto e che passa ad altri, non trasmette fedelmente ma aggiunge o modifica qualche cosa, per cui passando di bocca in bocca, la barzelletta assume sempre più forma di racconto umoristico, di piccola sceneggiatura, di sketch comico. Le canzoni popolari avevano un autore originario la cui identità era sempre ignota, ma gli autori diventavano centinaia e migliaia mano a mano che la canzone veniva trasmessa. Così avviene per la barzelletta.
A me è capitato di inventare qualche barzelletta di sana pianta, dando corpo di racconto ad una battuta, di averla trasmessa ai miei fornitori o clienti abituali (di barzellette, si intende) e di essermele viste ritornare, a distanza di mesi ed anche di anni, arricchite e migliorate o anche svilite e impoverite. Sono gli effetti della 'tradizione orale' : come si dice, le barzellette bisogna saperle raccontare. Infatti, ci sono barzellette anche su chi non le sa raccontare. Come quella del marito che se ne fa insegnare una da un amico, famoso barzellettaro, per fare bella figura con la moglie che gli rimprovera di fare sempre meschine figure nei salotti che frequentano. L'amico glie ne insegna una facile facile. «Tu, quando arrivi a casa, le dici "sai, chi è in vin di vita ?", lei ti domanderà subito "chi ?" con apprensione, e tu, ridendo, le risponderai "il sedere", perché il sedere è... alla fine della vita». Il marito durante tutto il tragitto ripete mentalmente la barzelletta, impaziente di far finalmente ridere la consorte. Ma non appena la moglie gli viene ad aprire, con la faccia di circostanza, le dice : «Indovina chi è morto !». Lei : «Chi è morto ?». «Il culo !» risponde pronto il marito che non sa raccontare le barzellette.
Le barzellette sono di vario genere : quelle 'sporche' (le più gettonate), quelle scolastiche, quelle religiose, quelle sui matti, quelle sui carabinieri (le stesse che i francesi attribuiscono ai belgi e gli americani ai polacchi), quelle sugli avari che possono essere genovesi, scozzesi o ebrei (questi ultimi sono i più grandi inventori di barzellette di cui loro stessi sono protagonisti), quelle politiche e via di seguito. Ma la struttura è sempre la stessa e spesso si ripresenta aggiornata dopo essersene stata acquattata per anni nella memoria. Come quella che mi ha raccontato un mio "fornitore" abituale recentemente, che comincia così : «Al funerale di Prodi, vanno le vedove di D'Alema, Berlusconi e Fini... come continua non me la ricordo ma comincia benissimo !». Io mi sono ricordato, e l'ho detto al mio "fornitore", che anni fa la stessa barzelletta circolava in questa versione : «Al funerale di Andreotti, vanno le vedove di Craxi e di Forlani...». Chissà se cento anni fa si raccontava dei funerali di Giolitti a cui partecipavano le vedove di Crispi, e di Zanardelli... La storia non ce lo tramanda ma se così fosse stato non ci meraviglieremmo.
La struttura della barzelletta, come dicevo, si ripete ma si ripetono anche gli archetipi (che sono il cretino, il cornuto, il gabbato, il furbo e così via), come nelle favole, altre storie tramandate oralmente, tanto da far sostenere allo studioso russo Propp che gli uomini, in ogni parte del mondo e in ogni epoca, si sono raccontati sempre la stessa favola. Come pure ci siamo raccontati sempre la stessa barzelletta, intorno alla quale si è sfogata la creatività popolare, che nella barzelletta ha il suo ultimo campo di azione, nell'era della globalizzazione della comunicazione.
Giancarlo Governi
La mia risposta, caro Giancarlo
Bella, fratè! (saluto dei rappers romani, "Hip-hop" all'amatriciana((ovviamente sai che l'hip-hop è il movimento culturale nato nei ghetti neri delle grandi città americane, da cui scaturisce il canto-denuncia-cazzeggio-chiacchierato che è il rap)) )
Gradevole il tuo saggetto sulla barza. A tal proposito ti mando un apologo (a volte sostituisce la barzelletta, ma con un sottofondo più sacrale e morale, ad uso dei più inclini alla cultura e meno volgare in senso lato).
Mi auguro che qualche "goodtimer" (buontempone) non te l'abbia già mandato, ma ne dubito fortemente.
Un abbraccio
Piero
Un cavallo depresso si sdraia e non vuole più saperne di rialzarsi.
Il fattore disperato, dopo aver provato di tutto, chiama il veterinario.
Questi, arrivato in loco, visita l'animale e dice al fattore:
"Casi così sono gravi; l'unica è provare per un paio di giorni a dargli
queste pillole: Se non reagisce sarà necessario abbatterlo".
Il maiale ha sentito tutto e corre dal cavallo:
"Alzati, alzati, altrimenti butta male!!!"
Ma il cavallo non reagisce e gira la testa di lato.
Il secondo giorno il veterinario torna e somministra nuovamente le
pillole, dicendo poi al fattore "Non reagisce: aspettiamo ancora un po'ma, credo, non ci sia alcunchè da fare."
Il maiale ha sentito tutto e corre ancora dal cavallo
“Devi ASSOLUTAMENTE reagire: guarda che altrimenti sono guai!!!".
Ma il cavallo niente. Il terzo giorno il veterinario verifica l'assenza di progressi e, rivolto al fattore: "Dammi la carabina: è ora di abbattere quella povera bestia." Il maiale corre disperato dal cavallo:
"Devi reagire, è l'ultima occasione, ti prego, stanno per ammazzarti!!!"
Il cavallo allora si alza di scatto e comincia a correre, saltare gli ostacoli ed accennare passi di danza.
Il fattore è felicissimo e rivolto al veterinario gli dice:
"Grazie... Grazie!!! Lei è un medico meraviglioso, ha fatto un
miracolo! Dobbiamo assolutamente fare una grande festa:
Su, presto, ammazziamo il maiale!!!"
Morale Zen:
FATTI SEMPRE I CAZZI TUOI!
venerdì 11 maggio 2007
Votantonio Votantonio ex su Rai 2
Alla luce di questi fatti, potete vedere pure quello che vi pare!
mercoledì 9 maggio 2007
Votantonio Votantonio su Rai 2
Questo programma di cui parlo, condotto da Fabio Canino (Marziani etc.) ha avuto una delle percentuali d'ascolto (e quindi di gradimento) più basse degli ultimi vent'anni, considerando che va in prima serata. Tutto ciò rientra nella normalità (si fa per dire...), se fai una trasmissione che non ha meccanismi di appeal per catturare lo spettatore, ormai corrotto dal telecomando (la seconda invenzione diabolica, dopo l'auditel).
Non saprei dare un giudizio sulla prima puntata (ce ne sarà una seconda?) di Votantonio se non dire che mi è sembrata troppo lunga (quindi noiosa). E poi l'ironia di Canino sembra aver poco a che fare con lo stile del programma.
Votantonio vorrebbe rifarsi al glorioso Portobello di Enzo Tortora, e un pò ad un format inglese di successo, Vote for me. Il meccanismo in breve:ci sono sei concorrenti a puntata che hanno un'idea, generalmente bislacca, per risolvere problemi annosi (tipo: l'acqua alta a Venezia, il traffico a Roma, una legge che consenta la bigamia per le donne etc,). Per essere votati fanno una campagna elettorale cercando consensi. In studio vengono votati dal pubblico e da alcuni personaggi di spicco. Per la prima puntata hanno scomodato Pippo Baudo, l'ex ministro Martelli, la figlia di Ciriaco de Mita, il futurologo Augusto Vacca.
Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che per la sigle di apertura e chiusura, nonchè stacchetti e sottofondi, hanno usato il mio brano Totò Rap, che appunto contiene il tormentone Votantonio Votantonio, mirabile pezzo di Totò dal film Gli Onorevoli. Qual'è il busillis? Beh, se chiudono il programma mi tagliano il contratto e perdo anche i diritti d'autore!
lunedì 7 maggio 2007
Stanlio & Ollio: un'esperienza indimenticabile
DUE TESTE SENZA CERVELLO (Raiuno, 1985), di Giancarlo Governi
Commento di Andrea Giampietro
La notte in cui nacque la...Dolce Vita
Quella sera avvenne un fatto che segnò per sempre la vita notturna della capitale: la nascita della Dolce Vita. Cosa accadde? Una sconosciuta ballerina turca, tale Aichè Nana, divenne di fatto l'emblema della dolce vita, spogliandosi davanti agli avventori del locale e ad un nugolo di paparazzi, di certo avvisati precedentemente, che immortalarono la scena. Arrivò la "buoncostume" prontamente chiamata e le foto che uscirono sui rotocalchi dell'epoca (era il 1953 e Roma era una città governata dai catto-bigotti) scatenarono uno scandalo di proporzioni bibliche, tanto che furono denunciati tutti gli avventori del Rugantino e qualcuno di loro finì anche in galera. Il locale rimase chiuso per lungo tempo e poi finì miseramente in declino. Marcello Rosa fu l'unico a non beccarsi la denuncia. Quando arrivò la polizia, si trovava imboscato nel guardaroba del locale, perchè là aveva portato i vestiti che Aichè Nana si toglieva e che gli passava... Grande Marcello!
venerdì 4 maggio 2007
La biografia di Tony Scott (scritta per Wikipedia)
Nasce da genitori siciliani emigrati negli Stati Uniti da Salemi nei primi anni del ‘900. Iniziò molto presto gli studi musicali, diplomandosi in clarinetto alla Juilliard School di New York. Sempre a New York ha studiato successivamente alla "Scuola di Musica contemporanea", con il compositore Stephan Volpe.
Coinvolto dall’atmosfera musicale profondamente stimolante che nella metà degli anni 1940 si respirava soprattutto a New York, scoprì presto il jazz e suonò con i più grandi musicisti di questo genere musicale e divenne un jazzista di fama internazionale. Oltre al clarinetto suona il sassofono ed è compositore, pianista e direttore d’orchestra.
Spinto dalla curiosità e dall'interesse per il genere umano, Tony Scott ha vissuto in diverse parti del mondo, stabilendosi di volta in volta nei paesi che gli offrivano ospitalità ed esperienze musicali (Africa, Giappone, Indonesia, Cina, Europa), finendo con lo stabilirsi definitivamente a Roma, dove è morto il 28 marzo 2007 a 86 anni.
La tecnica musicale
Virtuoso del clarinetto, lo suona con una tecnica più vicina ad altri strumenti, come il sassofono o piuttosto la tromba, Ammiratore di Charlie Parker, Scott impiega anni ad evolvere il proprio stile clarinettistico, cercando di staccarsi dal grande Benny Goodman che a quel tempo, assieme alla sua orchestra, , aveva portato questo strumento alle vette più alte. Di Parker, recepì la lezione più importante, e cioè l’intenso fraseggio “be-bop” unico e fluente, esclusivo ed innovatore. Il suono del clarino di Scott combina quindi i toni acuti e subacuti con toni bassissimi e flautati, alternandoli fra loro con agili e veloci movimenti tecnici, per creare un’iperattiva sorgente di suoni, mai fuori del suo controllo. Un suono a volte etereo, ma a volte, invece, così potente da eguagliare quello di sassofoni e trombe.
Attività musicale
L’attività di Tony Scott è stata lunga e ricca di esperienze e riconoscimenti mondiali. Ha suonato con I più grandi jazzisti della cosiddetta “Epoca d’oro”: da Erroll Garner, Buck Clayton, Billy Taylor, Trummy Young, Art Tatum, Ben Webster, Lester Young, Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonious Monk, Bud Powell, Fats Navarro, Sid Catlett, Charlie Shavers, Al Cohn, a Peggy, Lee, Sarah Vaughan, Carmen McRae.
Per la sua grande amica Billie Holiday è stato clarinettista, pianista, arrangiatore e leader dell'orchestra (concerto alla Carnegie Hall e album originale: “Lady Sings The Blues”).
Ha suonato in numerose e famose orchestre americane, quali quelle di Buddy Rich, Charlie Ventura, Lucky Millinder, Benny Carter, Tommy Dorsey, Duke Ellington, e tra il 1953 ed il 1956 ha diretto la Tony Scott Big Band e il "Tony Scott Septet". È stato direttore musicale per Harry Belafonte, arrangiando grandi successi quali “Banana boat song” (Day-O) e “Matilda” (che furono registratati con l'orchestra e coro di Tony Scott).
Ha fatto parte di quella che fu chiamata “Third Stream Music”, suonando con la Modern jazz Society ed il Modern jazz Quartet diretti da John Lewis e Gunther Shuller. Ha diretto i suoi propri differenti quartetti avvalendosi di musicisti quali Milt Hinton, Dick Hyman, Bill Evans, Paul Motian, Clark Terry, Sahib Shihab, Jimmy Knepper, Henry Grimes, Dick Katz, Philly Jo Jones, Osie Johnson, Kenny Burrell, Wynton Kelly, Percy Heath, McCoy Tyner, Keith Jarrett. Le incisioni di quel periodo sono tuttora ristampate sui CD :”The Complete Tony Scott”, “The Both Side of Tony Scott”, “Tony Scott & Bill Evans”, “A Day in New York”.
Curiosità
Il suo disco più famoso e più venduto è “Music for Zen meditation”
giovedì 3 maggio 2007
In memoria di Rino Gaetano
RICORDO DI RINO GAETANO 1981-2007
Il 2 giugno di ventisei anni fa moriva, per un assurdo incidente d'auto, uno straordinario cantautore d.o.c., Rino Gaetano, mentre, nelle prime ore del mattino, tornava nella sua casa di Montesacro, un quartiere alla periferia nord di Roma. La strada la conosceva molto bene e la notte pure, ma non fu sufficiente per salvargli la vita, che si arrestò contro l'unico veicolo che transitava in quel momento, un camion. Una morte surreale, come surreali erano lui e le sue canzoni.
Rino viveva di notte ed odiava la luce del sole. È uno dei ricordi che mi lega a lui quando, due anni prima, nel 1979, affrontammo insieme la sua tournée estiva in giro per l'Italia. Di giorno, noi del gruppo non lo vedevamo mai; rimaneva rintanato nella sua stanza d'albergo per tutto il tempo, per poi affacciarsi alla vita come il sole scendeva all'orizzonte, con la sua faccia pallida e sorridente, resa ancor più simpatica dai suoi dentini sovrapposti. Era per queste ragioni che gli avevo subito appioppato l'appellativo, ovvio per altro, di "Dracula il vampiro".
Ho molti altri ricordi di Rino-Dracula, ma uno in particolare mi è più caro fra tanti, e lo voglio raccontare.
Agli inizi degli anni '70, un gruppo di giovani musicisti e cantautori si affacciava alla ribalta romana, e molti di loro (e di noi) facevano capo all'etichetta discografica di Vincenzo Micocci (It dischi italia, distribuita dalla RCA) e a quella attigua di Edoardo Vianello (Apollo records-RCA), con annesso "Studio 38", una sala di registrazione decentrata, rispetto a quelle più importanti della "grande mamma" RCA di Via Tiburtina Km. 13.5.
Fu proprio in quella piccola sala a 8 piste, il massimo della tecnologia per l'epoca, che videro la luce i primi dischi di Francesco De Gregori ("Alice"), di Amedeo Minghi, di Antonello Venditti ("L'Orso Bruno"), di Renato Zero ("No mamma, no"), ai quali ho avuto la fortuna di partecipare. Lo studio 38 rappresentò, per quel periodo e per quel gruppo di musicisti, un'importante officina dove sperimentare la nostra musica.
Un giorno arrivò da me Venditti con un ragazzo piuttosto giovane, dall'aria stralunata e dalla faccia pallida. Mi disse che era un bravo autore, che scriveva strane e bellissime canzoni senza capo né coda, e mi coinvolse ad entrare in produzione, con l'intento di realizzare per lui il suo primo disco. Nell'"affare" coinvolgemmo anche il fonico dello studio, che si chiamava Aurelio Rossitto.
Dopo qualche giorno vide la luce il lavoro, prodotto da Rossitto, Venditti e Montanari (con l'acronimo RosVeMon, mai più insieme nel futuro), che si avvalse anche della collaborazione straordinaria di uno zampognaro vero, frequentatore della vineria sotto casa di Antonello.
Non mi scorderò mai delle sedici ore passate in sala di registrazione, per cercare di far emettere una nota intonata (si fa per dire…) allo zampognaro. Ma per la sperimentazione si faceva questo ed altro!
Il disco si chiamava "I love you, Maryanna" ed era un piccolo inno demenziale alla marijuana, a cui il titolo, con un giochino di parole, faceva esplicito riferimento. L'artista, che era poi Rino Gaetano, volle farsi chiamare "Kammammuri's", con una tigre che troneggiava sulla copertina del disco.
Mi fa piacere che, a distanza di ventisei anni dalla sua morte, Rino, un caposcuola, non sia stato dimenticato. E mi associo a ciò che Gino Castaldo scrive su Repubblica dell'autore di "Gianna" e "Il cielo è sempre più blu": "Rino Gaetano era un'anomalia, un grillo dispettoso e surreale che diceva sempre la verità. Mentre trionfavano impegno politico e poesie cantate, inventò uno stile corrosivo e divertente: canzoni come vignette satiriche". Ciao Rino.
Il mio ricordo di Romano Mussolini
Una storia straordinaria e tragica di un uomo che, invece di fare a pugni con la Storia, si mette a suonare il piano e che attraversa proprio un pezzo di quella storia drammatica. E poi il Jazz come comun denominatore, come colonna sonora, come collante alla storia. Roma e i suoi personaggi della dolce vita, i delitti, gli scandali e il Jazz nei locali di via Veneto. Romano ci ha accompagnato con il suo jazz attraverso quel mondo affascinante. Questo mio ricordo è per onorare la memoria di un grande amico.
La vita di Romano è stata sempre caratterizzata da due elementi fortissimi della sua personalità, ambedue equivalenti ed in netto contrasto fra loro: la pesantezza del cognome che si portava dietro, con il suo percorso tragico e i giudizi della Storia e delle persone che incontrava, e il suo carattere allegro e gioviale, tendente alla giocosità ed alla goliardia, una leggerezza talvolta scambiata per superficialità, una lievità che utilizzava per sopravvivere.
Del suo cognome aveva un forte pudore ma, al tempo stesso ne andava fiero. Ricordo che spesso, quando lo pronunciava per presentarsi, lo faceva sottovoce, come se avesse paura che l’interlocutore si potesse sconvolgere al suono di quella parola: “Salve, sono ROMANO Mussolini” laddove Romano era pronunciato forte e Mussolini sembrava un soffio. Però guai a chi si permetteva di dare giudizi! Perdeva la sua allegria e si infuriava moltissimo, anche se non mi è mai capitato di assistere a scene spiacevoli nei suoi confronti. Piuttosto sembrava che chiunque lo avvicinasse, ne avesse timore e rispetto e spesso aveva straordinarie manifestazioni d’affetto corredate da calorose strette di mano, abbracci e baci, parole di elogio per suo padre che peraltro lui liquidava timidamente con ringraziamenti sommessi.
Mi meravigliavo sempre dei consensi che otteneva non solo come pianista ma soprattutto come figlio del duce, ed ero sorpreso che mai nessuno gli si parasse davanti minacciandolo – Ehi, tu sei il figlio di un dittatore pazzo che ha distrutto l’Italia e ti odio! – Come dicevo, gli si avvicinavano persone che lo riconoscevano o sapevano chi era e lo abbracciavano, ricoprendolo di elogi per suo padre, la sua famiglia e il fascismo. Alcuni piangevano e lo baciavano, altri gli chiedevano un autografo sulla tessera del Msi, il rinato partito fascista di Giorgio Almirante, ma mai nessuno che lo abbia insultato. Spesso le persone si rivolgevano a me che gli ero vicino e con voce sognante mi dicevano – E’ tutto suo padre! – E io mi incazzavo, pensando che lui da suo padre era altro e che in Italia c’erano veramente ancora milioni di nostalgici fascisti con la memoria corta. A quel tempo, si parla degli anni ’70, ero molto a sinistra e in giro con Romano si mandava giù qualche boccone politico non proprio squisito.
Era timido, si diceva, ma goliarda e buontempone, incline al “cazzeggio”, sempre con la battuta pronta e con la voglia di ridere. Aveva terrore di tutto ciò che potesse essere serio. Sembrava non volesse mai approfondire le cose o impegnarsi più di tanto, come se volesse sempre veleggiare leggero al di sopra di tutto, come se la sua nevrosi lo obbligasse ad alleggerire anche le tragedie o gli imprevisti più drammatici.
Per via di questa timidezza era un po’ goffo e spesso impacciato, ma davanti al pianoforte si trasformava in un musicista possente e trascinatore. Suonava il piano jazz meravigliosamente e lo suonava senza averlo mai studiato, nel senso canonico.
Lo conobbi nell’inverno del 1970 perché venne nel locale dove suonavo. Era un sotterraneo ben arredato dell’Hotel Ludovisi, vicino via Veneto, che il grande clarinettista americano Tony Scott che lo aveva in gestione, aveva battezzato come “Tony Scott’s Music Sanctuary”. Tony mi aveva assunto come bassista per poche lire per suonare fino alle cinque del mattino sempre lo stesso spettacolo di jazz ripetuto in vari “set” e senza variazioni. Mi ricordo che dopo due settimane il batterista Roberto Spizzichino si diede alla fuga perché non resisteva più alle angherie di Tony. Personalmente mi feci forza e rimasi. Ero un discreto bassista ma inesperto e non conoscevo molti brani di jazz. Una sera venne Romano e nacque una jam session. Chiese di suonare un brano inusuale che era un cavallo di battaglia di Oscar Peterson, dal titolo “Woodin you”. Casualmente era uno degli unici due standard di jazz che conoscevo e suonai benissimo. Alla fine Romano si complimentò con me e mi chiese se volessi accompagnarlo per una serie di concerti. Ovviamente accettai, anche se dovetti confessargli che non conoscevo molto il jazz.
In seguito fu paziente con me e mi insegnò molte cose, non solo musicalmente. Gli interminabili viaggi in macchina insieme a lui per andare a suonare furono per me una scuola di vita e un percorso di formazione. Romano è stata una delle persone più importanti che ho incontrato e ha avuto, tra i tanti, il merito di diffondere la cultura jazzistica nel nostro paese. Ha tenuto a battesimo, come me, decine di altri musicisti che ha aiutato e sostenuto nella carriera con i concerti. Con il jazz si mangiava davvero poco e Romano era sempre carico di lavoro. Grazie alla sua bravura e alla curiosità per il suo cognome, non gli era difficile trovarne.
La sua vita è stata la testimonianza di un periodo irripetibile e bellissimo per il jazz italiano di cui Romano Mussolini è stato sicuramente una stella.
La sua morte, avvenuta il 3 febbraio del 2006, mi ha lasciato molto più solo.
Premio alla Cultura
A BENEMERITI DELLA CULTURA
(Trofeo di Cristallo e Medaglia d’oro del Presidente dell’Ass. Cult. “P. Raffaele Melis O.M.V.”)
Musicista Regista Maestro PIERO MONTANARI
Roma
Premio “Francesco Di Lella”
“Per avere contribuito con la musica e la regia all’evoluzione ed all’affermazione di attori e cantanti di chiara fama nazionale ed internazionale, lasciando un segno vivo nel panorama cinematografico e musicale italiano, senza mai desistere anche in un periodo così difficile ed arduo come l’attuale.”
Firmato Augusto Giordano, Getulio Baldazzi, P.Ezio Bergamo, Rita Tolomeo, Maurizio Pallottí, Domenico Di Lella, Maria Fichera, Gianni Farina, Rita Pietrantoni, Paola Pietrantoni, Domenico Gilio.