di Piero Montanari
Dopo l'ennesimo pareggio col Chievo Verona, per la Roma sarà bene parlare ufficialmente di crisi: è crisi di risultati, 8 pareggi su 9 partite giocate, è crisi di gioco, che era la cosa più spettacolare che la Roma dello scorso anno e della prima parte del campionato sapeva proporre, con i suoi giocatori veloci, tecnici e fisici.
Ma sembra essere anche crisi di rapporti all'interno dello stesso gruppo nella sua totalità: tra giocatori, che non si trovano più come un tempo, tra giocatori e tecnico, che dopo aver messo la 'chiesa al centro del villaggio', non ne azzecca più una; tra tecnico, dirigenza e proprietà, la cui assenza è sempre più avvertita come una grave lacuna per questo gruppo che avrebbe bisogno di certezze e invece si sta smarrendo.
A gennaio scorso la differenza tra la Juventus e la Roma era di un solo punto, oggi, dopo l' inquietante - così definito dallo stesso Garcia - pareggio numero 8, i punti di distacco dalla capolista potrebbero essere undici, col campionato non chiuso solo per rispettare la matematica.
Sarà bene, anzi meglio, a questo punto della storia, non cercare facili alibi o capri espiatori, né tantomento, raccontarsi che la crisi di questa squadra non esiste. Il chiacchiericcio sulle responsabilità tra tifosi, giornalisti e addetti ai lavori è pericolosamente iniziato, e sappiamo quanto tutto questo non porti a nulla di buono, se non ad alimentare il malessere che tutto il popolo giallorosso avverte e vive con forte emotività, per l'amore che nutre verso la sua Roma, dopo il fallimento degli importanti obiettivi prefissati all'inizio del campionato.
E' invece il momento di non abbandonarsi in sterili analisi e cacce ai responsabili, bensì individuare con il lavoro e l'umiltà che serve in questi casi, il significato che suggerisce la parola "crisi" nella lingua e nella cultura cinese: uno è "attenzione, pericolo", ma l'altro, ben più rilevante, è "opportunità".
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