di Piero Montanari
L’8 dicembre di trent’anni fa moriva John Winston Lennon, l’inventore dei Beatles, colpito da quattro colpi di pistola sparatigli dal venticinquenne Mark Chapman davanti al Dakota Building, la lussuosa residenza newyorkese di Lennon e di sua moglie Yoko Ono.
Erano le 22:51 e i due stavano rincasando da una giornata passata negli studi di registrazione per realizzare l’album, poi uscito postumo, “Double Fantasy”. Chapman, un povero demente innamorato folle – è il caso di dirlo - di Lennon (l’amore che uccide) era da tempo appostato davanti al residence non proprio per vedere il suo idolo, ma per ammazzarlo. Chissà quale strano cortocircuito nella sua testa maledetta gli intima di estrarre la pistola, chiamare John e dirgli: “Ehi, Mr. Lennon! Sta per entrare nella storia!” Spara cinque colpi a ripetizione, Lennon si accascia al suolo in una pozza di sangue. Quattro colpi lo raggiungono al petto e all’addome e uno di questi gli perfora l’aorta. Lennon fa due passi, barcolla e prima di cadere in terra fa in tempo a dire: “Mi hanno sparato”. Sua moglie gli è sopra e lo sostiene, arriva una pattuglia di polizia che lo porta a gran velocità al Roosvelt Hospital, dove viene dichiarato morto 11 minuti dopo l’esecuzione.
Chapman rimase seduto in strada leggendo la sua copia del libro “Il giovane Holden” in attesa della polizia. A chi gli chiedeva se avesse capito cosa aveva fatto, rispondeva: “Si, ho appena sparato a John Lennon”
Non ostante la riconosciuta infermità mentale e la sua accusa fosse stata derubricata ad omicidio di secondo grado, Mark Chapman fu condannato all’ergastolo con una pena supplementare di 20 anni (mi piacerebbe capire questa come fa a scontarla, forse, con il Karma, in una prossima vita). A tutt’oggi le sue richieste di libertà vigilata sono state sempre respinte e alloggia nelle carceri di Attica (N.Y.)
Ho voluto ricordare gli ultimi istanti del grande Beatle perché il resto della sua straordinaria esistenza ce lo trasmette la sua musica in ogni momento, con la eccezionalità della sua scrittura che è un compendio inimitabile di melodie semplici ed immortali, impegno civile ed avanguardia culturale, soprattutto in seguito all’incontro con la sua musa “separazionista” Yoko Ono, che di certo lo influenzò nell’indicargli altre strade da percorrere.
Per questo tanti beatlesiani della prima ora, come il sottoscritto, non ce l'hanno molto in simpatia.
A tal proposito suggerisco una “performance” di Yoko al Moma di New York. Sappiatemi dire...
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