Pubblico questo "uovo" veramente molto avvelenato del nostro odiato Cav. Serpente a mio rischio e pericolo. Stavolta se la prende con miti e icone che la metà bastava e, leggete leggete, era insieme a Sua Santità... ma chi avete capito...il Papa!
ABBIAMO TROVATO LA SOLUZIONE
Venerdì 1 ottobre 2010 alle 18 precise nella Sala Nervi, in Vaticano, abbiamo trovato la soluzione all’implacabile abitudine al ritardo di qualunque manifestazione a Roma: basta invitare il papa! Il concerto dell’orchestra di Santa Cecilia, con lui ospite d’onore, previsto per le diciotto, alle diciotto e un millisecondo era già in piena esecuzione. Tutti seduti da un quarto d’ora, niente tossi né saluti.
Sua Santità era arrivato sul red carpet un paio di minuti prima, un po’ perché di sicuro è una persona educata, e forse un po’ perché è tedesco.
Un evento di gran lusso. Tutti ben vestiti, e a noi piace; cameramen e fotografi in giacca e cravatta, gli orchestrali in frac, così come gli inservienti. C’erano perfino dei giovanottoni in brache e giustacuore a grandi righe colorate, con elmo e alabarda. Un programma di sala patinato con i nomi di tutti gli elementi dell’orchestra e del coro, le prime parti indicate da asterischi, malauguratamente identici a quelli che segnalano i gamberoni surgelati nei ristoranti di pesce.
Ottima esecuzione (lo sappiamo che l’orchestra è buona) di un programma medio. In testa Haydn, Sinfonia “La sorpresa”, Ok. In coda Beethoven con la Fantasia Corale, un pezzo giustamente poco eseguito, di una pesantezza proprio tedesca (ah, Mozart, dove sei?).
E in mezzo “Cecilia, Vergine Romana” di Arvo Paart. Ora, Paart è un minimalista, si sa, ma cosa vuol dire essere un musicista minimalista? Dopo l’ascolto ci verrebbe da insinuare che si tratta di una scusa per scrivere meno note di quelle che servirebbero, e lasciarle a manciate qua e là, con l’indicazione di ripeterle spesso. Il problema è che queste poche note dovevano essere gli scarti perché il pezzo è risultato noiosissimo. L’esecuzione forse era buona come le altre, ma come si fa a dirlo?
Ora che ci siamo espressi su Paart, mettiamo un momento in frigo Allevi per cucinarlo in seguito (Einaudi pensiamo di lasciarlo definitivamente nel freezer, chissà che condensandosi con il gelo non acquisti un po’ di consistenza), e scendiamo la china della nostra rovina confessando quanto ci annoiavano in un’epoca in cui non si poteva neanche pensare di metterli in dubbio, alcuni altri miti.
Da Bob Marley con il suo reggae tutto uguale: una volta sentito il primo pezzo, gli altri non servivano più, a Joan Baez (ecco, la Baez, oltre a cantare noiosa, aveva quella voce di testa, così priva di impurità da non avere nessun carattere, nessun timbro, come trovarsi a buttar giù un bicchiere di acqua normale quando ti aspetti un prosecco), a Giovanna Marini con la sua sempiterna ripetizione di belle ciao e mondine al lavoro, e l’occasionale aggravante del fischio.
E Piazzolla triste y fatal, e Milva sempre troppo strehlerata, e il venerabile Guccini, e il povero Rino Gaetano, la cui principale abilità, che ne ha fatto un’icona, è stata di morire presto, e il mediocre e sopravvalutato Ciampi, sempre ubriaco per i bar di Roma, attaccabrighe, rissoso, antipaticissimo.
Uffa, ci siamo sfogati!
Siamo curiosi di sapere quanti fra i nostri lettori sono d’accordo, e soprattutto quanti, e ormai bisogna cercarli nella terza età, sarebbero stati nascostamente d’accordo anche allora, quando non si poteva proprio. Adesso che la tecnologia lo permette, ci aspettiamo da loro un commento di complicità sul blog.
O anche una scarica di insulti, a piacere.
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