Arriverò buon ultimo a considerazioni pseudo sociologiche sull’uso improprio dei media e soprattutto della Grande Regina - Cattiva Maestra telelevisione, ma il malloppo di marchesiana memoria sta per esplodere e prego chiunque di darmi una mano a sopportare lo scempio che ne seguirà.
Tralasciamo per un momento i luoghi comuni del tipo: viviamo in una società di massa, media-dipendente (ma va?), le cose non accadono se non sono in televisione, non si esiste fintanto che non si appare etc. Pixel, ergo sum.
Ma la misura si è davvero colmata e il guano deborda dalla secchia immonda con le ultime storie di delitti truculenti, dove la televisione, più di qualsiasi altro informatorio comune, diventa il tòpos dove avvengono i processi, le rivelazioni, (la mamma di Sarah Scazzi conoscerà la sorte della figlia in diretta tv, a Chi l’ha visto?, e la telecamera in ppp che sguazza tra le pieghe-piaghe dell’orrore impietoso del viso pietrificato, la cugina-sorella Sabrina Misseri che guida le decine di dirette televisive, tra bugie e mezze verità, seduta sul suo salotto di casa che manda sms ai vari giornalisti asserragliati con la gente comune fuori della horror house, meta di pellegrinaggi di curiosi, o mentre, ormai in cella, chiede alla sorella Valentina: “Che dice di me la gente al paese e le televisioni, che dicono”? - o magari, a pensar male, le avrà pure chiesto: ”Come vengo in TV?). Non dimentichiamoci che Sabrina Misseri aspirava a diventare un personaggio del Grande Fratello (quello finto).
La tv dunque come luogo ormai deputato per le confessioni, ricerche di colpevoli o di scomparsi, famiglie che si ritrovano, gente che fa la pace, e la guerra, richieste di perdono, scomuniche e amenità varie, ammannite dalla De Filippi o da Barbara D’Urso, da Federica Sciarelli o da Salvo Sottile (l’orecchiuto giornalista di Quarto Grado), ma anche dai plastici di Vespa (sei mesi di trasmissioni con la storia di Cogne) o dagli approfondimenti di Matrix o Terra! Non si salva prorpio nessuno, tutti a girare i coltelli nelle piaghe purulente di una socità drogata di media ed affamata sempre di più di storiacce grandguignolesche. Più sangue più ascolto, più pubblicità più danaro, la scatola degli orrori fa vincere il truculento sulle storie edificanti. Mi piacerebbe sapere quale share ha avuto in Italia il recupero dei 33 minatori cileni rispetto alla storia di Sarah: sicuramente inferiore e di molto.
L’apoteosi del Grande Fratello (quello vero, con le telecamere ormai dappertutto ed è solo l’inizio) c’è stata con il delitto del “diretto in diretta” sferrato alla povera infermiera rumena da un periferico bulletto romano che probabilmente, circondato ed anestetizzato dalla violenza virtuale massiccia di videogame-cinema-tv, avrà pensato che un pugno in faccia non faccia poi così male, abituato com’è a misurarsi con personaggi finti che, dopo un goccio di vita si rialzano da terra. E Maricica Hahaianu è morta ammazzata.
Le difese a tutto ciò sono molto labili: “Ci limitiamo a raccontare quello che accade” – dicono i giornalisti – “Se le cose non succedono noi non le raccontiamo”
- That’s the press, baby - “E’ la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente, niente!” Ripeteva urlando al telefono ne “L’ultima minaccia” Bogart - Ed Hutchinson - mentre le rotative del suo giornale sferraggliavano implacabili pubblicando la notizia che avrebbe inchiodato l’assassino.
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