Leggo oggi a firma di
Diego Minuti un pezzo su Globalist dove, nella sostanza, viene
riconosciuta la grandezza del calciatore Francesco Totti nel giorno
tristissimo del suo addio alla Roma, ma non viene capito
l'esibizionismo di chi lo saluta con
piaggeria, adulazione, lodi senza freni, come se Totti non fosse solo
un calciatore, ma “l'incarnazione di un supereroe, uno Spiderman
senza calzamaglia, un Wolverine senza artigli, un Superman senza
scudo giallo sul petto, desibirsi
nello sport preferito dall'italica stirpe.”
Prosegue
l'articolo stigmatizzando servizi, articoli, documentari e libri che
si sono scritti e fatti su Totti, meritati nella sostanza –
aggiunge Minuti - ma con toni che sono stati assolutamente fuori
registro. “Ieri sera, nelle battute immediatamente precedenti al
calcio di inizio di Roma-Genoa, così come nelle ore precedenti, è
stato tutto un inseguire figure retoriche che profumavano d'incenso
per definire la grandezza del Totti calciatore.”
Mi
viene voglia di chiedere a Minuti non di che squadra sia, perché
questo certo non farebbe la differenza, ma dove vive. Se non vive a
Roma un po' lo posso capire (ma neanche tanto), perché vivendo
nell'Eterna Città non si può non percepire quanto il pallone sia
esageratamente importante per tutti. Decine di radio vivono di calcio
parlato, e lo fanno monograficamente 24 ore su 24 per Roma e Lazio,
con persone che seguono e si appassionano ascoltando i “sacerdoti
conduttori” che dalle radio celebrano le cerimonie di calciatori e
allenatori.
Insomma,
un delirio certamente, ma anche un forte processo identificativo nei
confronti dei campioni più amati. E Totti, manco a dirlo ancora, per
la Roma è stato il più grande e il più amato. Ero allo stadio per
il suo addio e posso testimoniare l'amore incredibile che gli è
stato tributato. Il cinismo e il distacco del quale sono da tempo
portatore sano, si sono sciolti in lacrime, ascoltando la curva e
tutto lo stadio cantare per ore le lodi al suo Campione. Sarà pure
stata una combinazione di tanti fattori,compresa la partecipazione
emotiva collettiva, ma piangevamo tutti.
O
forse Diego Minuti avrebbe immaginato che il più grande campione
della Roma finisse la sua venticinquennale carriera con i i compagni
che gli regalano l'orologino d'oro col bracciale di coccodrillo
marrone, tra deliri di pasticcini, pastarelle, tramezzini e patatine,
il tutto annaffiato con litri di vermut Martini dolce, mentre il
capoufficio gli consegna la lettera d'addio scritta dalla segretaria?