(di
Piero Montanari - pubblicato su Globalist.it e Ilgiornaledellazio.it)
Ricordo, non senza un
forte disagio che mi assale ogni volta, Il giustiziere della notte,
il film del 1974 diretto da Michael Winner, tratto da un romanzo di
Brian Garfield e magistralmente interpretato da Charles Bronson, in
cui si narra la storia di un ingegnere pacifista (Bronson) al quale,
in seguito ad una rapina, viene barbaramente uccisa l'amata moglie e
stuprata la figlia. Il tranquillo ingegnere, in seguito al profondo
trauma subito, diventa un assassino seriale e la notte esce per
cercare di uccidere chiunque gli sembri un bullo o tenti di rubargli
il portafoglio, consumando così la cieca vendetta per il brutale
torto subito dai suoi cari.
Il film ebbe un grande
successo, e generò tantissime critiche per essere l'invocazione
popolare alla giustizia sommaria, quella “fai da te”, laddove non
viene riconosciuto più il ruolo dello Stato, quello della giustizia
ordinaria e la tutela delle forze dell'ordine nei confronti del
cittadino. Il Far West 2.0 per intenderci.
Un passo avanti di alcuni
anni. Era il 1977 ed ero andato al cinema a vedere Un borghese
piccolo piccolo, un altro film del grande Monicelli che fece
discutere per la violenza del tema trattato e della crudezza delle
scene mostrate. Il film, splendidamente interpretato da Alberto
Sordi, Shelly Winters e Vincenzo Crocitti, racconta la storia di un
amatissimo figlio (Crocitti) che viene ucciso per sbaglio durante una
rapina in strada. La madre (Winters) per il dolore diventa una
tetraplegica, mentre il padre (Sordi), avendo riconosciuto
l'assassino, medita una furiosa e folle vendetta, lo pedina fino a
catturarlo e a torturarlo a morte per giorni in una triste casupola
al mare.
Ricordo bene già al
cinema la gente che urlava – come nelle sceneggiate napoletane –
invettive contro l'assassino e applausi alle torture, mentre alcuni
di noi cercavano di “sedare” e tacere questi giustizieri
improvvisati, ricordando loro che esiste una giustizia dello Stato, e
che questo orrore non si poteva commettere, ma venivamo zittiti a
male parole. La gente voleva la vendetta, perché la vendetta
evidentemente appagava la pancia, almeno a parole...
Ecco quindi riapparire
tra noi il giustiziere notturno o il piccolo borghese del grande
Sordi, che riaffiorano dal passato per riaccenderci lo stesso disagio
di quei tempi. Parlo ovviamente dell'omicidio di Vasto, una tragedia
nata da un'altra tragedia, dove un ragazzo uccide una giovane sposa
investendola mentre era sullo scooter, non fugge, affronta la
giustizia ma invano perché il marito della sventurata, Fabio Di
Lello, lo fredda con tre colpi di pistola dopo aver covato la
vendetta per alcuni mesi. E come in un rituale da tragedia greca,
dopo aver ucciso il 22enne Italo D'Elisa, si reca sulla tomba della
moglie e le offre la pistola come segno del compimento della sua
vendetta e come chiusura della storia, due morti, un uomo disperato
in carcere per decenni, famiglie distrutte.
Da considerare poi una
vera campagna d'odio sui social contro questo ragazzo investitore,
che a giorni sarebbe stato incriminato di omicidio stradale, con la
giustizia che avrebbe fatto bene o male il suo corso. I popoli dei
social, come nelle sale dei film citati, volevano il cappio stretto
intorno al collo dell'assassino, e l'hanno avuto purtroppo,
finalmente appagati da questo tragico rigurgito di vomito di
giustizia sommaria che libera le pance dei deboli e massacra le
coscienze dei forti.
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