(di
Piero Montanari - pubblicato su Globalist.it)
“Mala
tempura curry”, come diceva un amico cuoco amante del latino
maccheronico, il latino che si parla tra un' amatriciana e un cacio e
pepe. Scopriamo con doloroso stupore che Trump è il primo politico
al mondo che mantiene le promesse fatte nella campagna elettorale.
Solo che queste sono, a dir poco, esiziali: un muro lungo 3200 km tra
Stati Uniti e Messico da fare invidia alla muraglia cinese, del costo
tra 27 e 40 miliardi di dollari, che però spetta – secondo il
tricodotato tycoon - ai poveri messicani i quali, già incazzatissimi
di loro, hanno risposto a Trump col gesto dell'ombrello, determinando
tra i due paesi una pericolosa crisi politica.
Poi la chiusura delle frontiere per sette
paesi musulmani:
Siria,
Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen, con molti disperati
cittadini di questi paesi, ormai cittadini americani, per
l'impossibilità di ricongiungersi con le loro famiglie. Ora un
accordo con Putin col quale, alla faccia di tutto il vecchio
anticomunismo americano, si trova benissimo, per scatenare la vera
terza guerra mondiale contro i paesi arabi che sostengono l'Isis. E
l'Isis, da canto suo, che ha promesso di scatenare a sua volta una
rappresaglia a Roma, città simbolo del cristianesimo, abbattendo o
occupando, se va bene, il suo monumento simbolo, il Colosseo. E
questo sempre per non farci mancare nulla, dopo i terremoti e le
valanghe nell'Italia centrale di questi giorni.
Insomma,
leggere queste cose non fa bene alla salute psicologica di noi poveri
e fragili individui, ma ci viene miracolosamente in soccorso
l'imminente e immanente telefesta comandata, quella subito dopo
Natale, Capodanno e la Befana, il Festival di Sanremo, con tutte le
sue immancabili polemiche, le critiche e le sue liturgie, i cantanti
in gara, quelli esclusi, gli ospiti, i cachet dei conduttori troppo
alti, la De Filippi affiancata a Conti che non vuole soldi, troppe le
cinque serate etc.
Ma una
notizia ferale (e feriale) in questi giorni campeggia sopra tutte: il
Maestro Peppe Vessicchio, colui che ornai da più di venticinque anni
incarna lo spirito del Festival, non andrà a Sanremo! E tutti si
domandano: perché, cosa gli sarà successo, è ammalato, o forse
morente, o in crisi esistenziale? Lui, essere mitico e mitologico,
metà uomo e metà barba, metà Maestro e metà Sanremo ha detto di
no, e lo ha anche motivato: anche lui ha scritto un libro,
un'autobiografia dal titolo sibillino “La musica fa crescere i
pomodori”, e ha detto che si vuole dedicare alla sua presentazione,
cosa che probabilmente farà in concomitanza col Festival. Ha anche
detto molto polemicamente:
“In
questi ultimi anni è rimasto assai poco di quello che è transitato
dal festival. E non parlo di risultati di vendita. Penso a casi come
Cammariere o gli Avion Travel che sono sopravvissuti. Non sento la
stessa valenza negli ultimi tempi. Vengono proposti solo prodotti a
scadenza breve perché credo che l'industria vada in quella direzione
e preferisca avere prodotti da sostituire in fretta con altri
piuttosto che pensare al lungo periodo”.
Bene non
vedremo dirigere il M° Vessicchio a Sanremo (anche perché due dei
cantanti che lo avevano prenotato sono stati esclusi) e ce ne faremo
una ragione, in attesa che si liberi l'Italia centrale dalla neve,
che si ricostruiscano i paesi terremotati, mentre si costruisce il
muro tra Stati Uniti e Messico, che l'Isis attacchi Roma e che scoppi
la terza guerra mondiale. Amen