di Piero Montanari
Due importanti cerimonie ci portiamo dietro in Italia dallo scorso secolo anzi, dallo scorso millennio, praticamente intatte nella loro liturgia: l'elezione del presidente della repubblica italiana e quella della canzone regina. Sono certo che il nostro primo presidente De Nicola, eletto nel 1948, canticchiasse tre anni dopo il suo insediamento al Quirinale Grazie dei Fiori, di Testoni, Panzeri, Seracini, cantata da Nilla Pizzi, che vinse il primo Festival di Sanremo nel 1951.
Nulla o poco è mutato da quel lontano giorno di 64 anni fa, la liturgia continua tra luci e immagini laser che hanno sotituito i fiori, simbolo della cittadina ligure e abbondanti per anni sul palco dell'Ariston, ma poi abortiti. Tra presentatori, scandaletti e vallette, tragedie come quella della morte di Tenco, che si uccise nel 1967 per non essere entrato in finale, il Festival è andato avanti a corrente alternata, tra successi e flop, col rischio anche di scomparire negli anni della contestazione.
Ma una cosa per lungo tempo è stata certa: tutti noi attendevamo con grande interesse il Festival perché avrebbe eletto la canzone regina, quella canzone che tutti avremmo cantato e amato, che ci avrebbe fatto compagnia per almeno un anno, insieme alle altre di contorno.
Da molto sappiamo che non è più così, il Festival è divenuto uno spettacolone di varietà con canzoni che difficilmente lasciano il segno, cerimoniale ormai inutile per regine elette e quasi subito detronizzate, tra l'enorme offerta mondiale di musica alla quale abbiamo accesso.
Detto ciò, a questa sessantacinquesima edizione, non ostante tutto, va dato un punteggio buono, almeno per quel che si è visto (e sentito) nella serata introduttiva e rispetto a tante soporifere edizioni del passato. Carlo Conti ci piace, è davvero bravo e simpatico, ha un bel ritmo di conduzione ed il merito di aver "virato" il festival sulla protezione della scomparenda canzone italiana limitando al minimo le "intromissioni" esterofile.
Ci è piaciuto di meno l'intervento comico di Alessandro Siani che, sull'altare della risata a tutti i costi, ha sacrificato un ragazzino obeso in platea sfottendolo per i chili di troppo, uno scivolone che gli sta costando caro, non ostante la furbetta mossa di devolvere il suo cachet a due ospedali, come Conti ci annuncia subito dopo, quasi a riparazione della gaffe.
Al solito, si doveva parlare di canzoni e non ci siamo riusciti, perché il contorno del Festival, come si diceva, ruba sempre troppo uno spazio mentale che a queste dovrebbe essere destinato. Restiamo quindi in attesa di un ulteriore ascolto dei brani della prima serata, unitamente ai prossimi dieci e che, come prima sensazione, ci sono sembrati quantomen
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