di
Piero Montanari
Amy
Winehouse morì tragicamente il 23 luglio di sei anni fa per gli
eccessi di alcol e droga, e la sua fine, purtroppo scontata, era
stata prevista a breve perfino da sua madre, e suo padre aveva già
scritto l'epitaffio per la sua tomba. Una storia che fece
raccapriccio questa di Amy, cronaca di una morte annunciata e
avvicinata ad altrettante morti tragiche e famose: Brian Jones,
asmatico chitarrista degli Stones, morto affogato di droga e alcol
nell'acqua nella sua piscina, Jimi Hendrix, soffocato dal suo vomito,
Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain, una sfilza di overdosi, il
"Club dei 27", come viene brutalmente e tristemente
chiamato questo gruppo di musicisti della 'rock area' che non
arrivano a festeggiare il 27mo compleanno, e che negli ultimi 40 anni
si sono distinti per il grande talento e i grandi eccessi. Ma vengono
in mente tanti altri straordinari personaggi che hanno unito questo
talento ad una vita senza freni e dissoluta. Ricordo, anche per
averci suonato insieme, il grande, grandissimo trombettista americano
Chet Baker, la fantastica "tromba bianca" che visse
suonando divinamente ma entrando ed uscendo dagli ospedali per
disintossicarsi dalle dipendenze. Il 13 maggio 1988, non ancora
sessantenne, Chet morì cadendo dalla finestra di un albergo di
Amsterdam, spinto giù dalla "scimmia" che stava sulla sua
spalla e che non l'aveva mai abbandonato. Ma anche lo straordinario
"inventore" del be-bop, Charlie Parker, immortalato dal
magnifico film prodotto da Clint Eastwood, Bird,
dove si racconta la storia di questo geniale sassofonista morto a
trentaquattro anni per gli eccessi di alcol e droghe. E l'elenco
continuerebbe tristemente lungo. Strane storie di quel genio e
sregolatezza che la società dei "normali" considera
inevitabile tra gli artisti, luoghi comuni banali e incongrui, come
quello che indica la sofferenza dell'anima viatico essenziale per la
creazione dell'opera. Nulla di più falso, lo posso testimoniare. Se
stai male non "esce" niente, il dolore e la sofferenza sono
i più grandi anestetici della creatività. È la condizione umana
che è sofferenza già in sè e non risparmia nessuno, e tutti noi
che ci portiamo dietro in ogni istante della vita questo fardello,
sappiamo che l'unica cosa che possiamo fare è un passo dopo l'altro
in avanti. Le anime fragili, ahimè, soccombono, e cercano di
distruggere sé stessi per annullare questo dolore, per loro
evidentemente più insopportabile che per altri. Purtroppo, così
egoisticamente facendo, ci priveranno per sempre dell'irripetibile
straordinarietà del loro talento.