di Piero Montanari
"Che cosa triste... lucri sul funerale con libri e interviste", "C'è chi piange un figlio con dolore e moralità e chi ne fa un business senza dignità" e ancora, "Dopo il libro, il film". Ecco quello che raccontavano gli striscioni apparsi in curva sud durante la partita Roma - Napoli, indirizzati alla mamma di Ciro Esposito, il tifoso napoletano che si presume assassinato da un tifoso romanista, Daniele De Santis, in circostanze ancora tutte da accertare, prima della finale di Coppa Italia dello scorso 3 maggio svoltasi a Roma.
Questa povera signora, Antonella Leandri, sarebbe "colpevole" secondo quei sedicenti tifosi, di essere stata alla presentazione del libro "Ciro vive", scritto dalla giornalista Vittoriana Abate, collaboratrice di Vespa a Porta a Porta, e di andare in giro a spargere parole di pace e di buon senso sulla violenza che si consuma negli stadi e soprattutto fuori di essi, proprio lei, che ha subìto la perdita del suo amatissimo figlio Ciro, venuto a Roma solo per assistere ad una partita di calcio, e ritornato a Napoli, dopo alcune settimane di coma, in una bara di legno.
Proprio lei, che disse, subito dopo il fatto, rivolta al presunto sparatore: "Non ho parole, perché per me è una mostruosità quella che ha fatto. Io nel mio cuore già l'ho perdonato ma non riesco a capire quello che ha fatto. Forse sono sbagliata ma io non lo odio. Siamo fratelli d'Italia che sono queste cose?"
La volgarità di questi striscioni si commenta da sola, non c'è bisogno di aggiungere epiteti nei confronti di chi li ha scritti e di chi, a proposito, ha permesso che venissero, prima portati in curva, e poi mostrati, segno che le curve sono assolutamente zone franche, territori dove tutto è permesso, dove vige la "legge" del gruppo, e dove chi è più forte detta le regole, anche se marce. A loro non vorrei dire nulla di più, se non che da tifoso della stessa loro squadra sono il primo a vergognarmi per quello che hanno scritto alla mamma di Ciro.
Spero che non debbano mai subire un dolore così insopportabile come la perdita di un giovane figlio e in circostanze così drammaticamente inutili, e aggiungo semplicemente che ognuno che venga colpito da un dolore di questa portata ha il sacrosanto diritto di elaborare una perdita così lancinante come crede, magari cercando che la luce di Ciro resti sempre accesa, con un libro, un articolo, anche con un film.
Altro che lucrare.
"Che cosa triste... lucri sul funerale con libri e interviste", "C'è chi piange un figlio con dolore e moralità e chi ne fa un business senza dignità" e ancora, "Dopo il libro, il film". Ecco quello che raccontavano gli striscioni apparsi in curva sud durante la partita Roma - Napoli, indirizzati alla mamma di Ciro Esposito, il tifoso napoletano che si presume assassinato da un tifoso romanista, Daniele De Santis, in circostanze ancora tutte da accertare, prima della finale di Coppa Italia dello scorso 3 maggio svoltasi a Roma.
Questa povera signora, Antonella Leandri, sarebbe "colpevole" secondo quei sedicenti tifosi, di essere stata alla presentazione del libro "Ciro vive", scritto dalla giornalista Vittoriana Abate, collaboratrice di Vespa a Porta a Porta, e di andare in giro a spargere parole di pace e di buon senso sulla violenza che si consuma negli stadi e soprattutto fuori di essi, proprio lei, che ha subìto la perdita del suo amatissimo figlio Ciro, venuto a Roma solo per assistere ad una partita di calcio, e ritornato a Napoli, dopo alcune settimane di coma, in una bara di legno.
Proprio lei, che disse, subito dopo il fatto, rivolta al presunto sparatore: "Non ho parole, perché per me è una mostruosità quella che ha fatto. Io nel mio cuore già l'ho perdonato ma non riesco a capire quello che ha fatto. Forse sono sbagliata ma io non lo odio. Siamo fratelli d'Italia che sono queste cose?"
La volgarità di questi striscioni si commenta da sola, non c'è bisogno di aggiungere epiteti nei confronti di chi li ha scritti e di chi, a proposito, ha permesso che venissero, prima portati in curva, e poi mostrati, segno che le curve sono assolutamente zone franche, territori dove tutto è permesso, dove vige la "legge" del gruppo, e dove chi è più forte detta le regole, anche se marce. A loro non vorrei dire nulla di più, se non che da tifoso della stessa loro squadra sono il primo a vergognarmi per quello che hanno scritto alla mamma di Ciro.
Spero che non debbano mai subire un dolore così insopportabile come la perdita di un giovane figlio e in circostanze così drammaticamente inutili, e aggiungo semplicemente che ognuno che venga colpito da un dolore di questa portata ha il sacrosanto diritto di elaborare una perdita così lancinante come crede, magari cercando che la luce di Ciro resti sempre accesa, con un libro, un articolo, anche con un film.
Altro che lucrare.
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