Musicista, bassista, compositore, autore di musiche per il cinema e la televisione, produttore discografico ed editore con VIVAVOCE MUSIC. Ha suonato con i più grandi artisti della scena pop e jazz: LITTLE TONY, ZERO, BAGLIONI, DE GREGORI, GAETANO, DANIELE, ARBORE, CONTE, MINGHI, CAPUTO, GRAZIANI, MUSSOLINI, T.SCOTT e moltissimi altri. Un po' di storia di ieri e di oggi tra arte, musica e spettacolo.
sabato 28 settembre 2013
venerdì 27 settembre 2013
Oscar postumo a Endrigo per il Postino di Troisi
Scena da "Il Postino"
di Piero Montanari
Strana storia quella de "Il Postino", il magnifico film di Troisi del 1994, ispirato al romanzo di Antonio Skàrmeta "Il postino di Neruda", che vinse l'Oscar per la migliore colonna sonora con Luis Bacalov, compositore argentino da anni residente in Italia. Triste storia, anche perché Massimo morì subito dopo la fine delle riprese. E poi perché durante tutte le bellissime poetiche sequenze, tra la storia del film e la malattia di Troisi, aleggia un'aria di morte che ti casca addosso, dalla quale non riesci a liberarti per lungo tempo. Ho fatto sempre fatica a rivedere il Postino, e tutte le volte, come la prima, assalito una malinconia senza fine.
Il film torna prepotentemente a far parlare di sé in questi giorni perché il cantautore istriano Sergio Endrigo, morto nel 2005, aveva intentato causa - insieme con Riccardo De Turco (ricordate "Luglio col bene che ti voglio.?") - e a Paolo Margheri, contro Luis Bacalov, sostenendo che il malincono e struggente tema principale del film fosse di sua paternità, e che il compositore bonaerense lo avesse plagiato.
Bisogna dire che Endrigo e Bacalov hanno lavorato lungo tempo insieme, collaborando nella grande Rca di Roma dagli anni '60, periodo aureo per la musica, con vendite di milioni di dischi, nella quale Luis faceva l'arrangiatore a Rita Pavone, a Gianni Morandi a Neil Sedaka, ma anche ai primi cantautori come Umberto Bindi, Gino Paoli e soprattutto Endrigo, con cui lavorò a successi importanti: "Io che amo solo te", "Lontano dagli oocchi", "L'arca di Noè", "Canzone per te", solo per citarne alcuni.
In seguito litigarono proprio per la colonna sonora del Postino nel cui leitmotiv Endrigo riconobbe un suo brano inciso nel 1974, composto insieme al cognato Del Turco e a Paolo Margheri, un paroliere dilettante.
La causa, durata 18 anni e forte di due sentenze che davano ragione salomonicamente a tutti e due (la prima a Bacalov e la seconda ad Endrigo), oggi finisce con la Cassazione che non ha fatto in tempo a esprimere un verdetto, perché Bacalov ha deciso di fare una transazione, riconoscendo la paternità della colonna sonora anche ai ricorrenti, e quindi con un nuovo deposito alla Siae, dove da ora appariranno, oltre al suo, anche i nomi di Endrigo, Del Turco e Margheri.
Una fortuna, perché il bel film di Troisi ha incassato una montagna di soldi in tutto il mondo e molti diritti per le musiche, e la sua colonna sonora è diventata un classico, un evergreen, con il tema magnificamente esposto dal bandoneon, fisarmonica cara agli argentini.
Soltanto che purtroppo Sergio Endrigo è morto il 7 settembre del 2005 e non potrà mai godersi questa vittoria, dovuta soprattutto alla tenacia di sua figlia Claudia e degli altri due musicisti aventi diritto.
Ad Endrigo una parte del triste oscar postumo, diviso in quattro, per un film poetico e malinconico come la sua musica e le sue storie.
Il film torna prepotentemente a far parlare di sé in questi giorni perché il cantautore istriano Sergio Endrigo, morto nel 2005, aveva intentato causa - insieme con Riccardo De Turco (ricordate "Luglio col bene che ti voglio.?") - e a Paolo Margheri, contro Luis Bacalov, sostenendo che il malincono e struggente tema principale del film fosse di sua paternità, e che il compositore bonaerense lo avesse plagiato.
Bisogna dire che Endrigo e Bacalov hanno lavorato lungo tempo insieme, collaborando nella grande Rca di Roma dagli anni '60, periodo aureo per la musica, con vendite di milioni di dischi, nella quale Luis faceva l'arrangiatore a Rita Pavone, a Gianni Morandi a Neil Sedaka, ma anche ai primi cantautori come Umberto Bindi, Gino Paoli e soprattutto Endrigo, con cui lavorò a successi importanti: "Io che amo solo te", "Lontano dagli oocchi", "L'arca di Noè", "Canzone per te", solo per citarne alcuni.
In seguito litigarono proprio per la colonna sonora del Postino nel cui leitmotiv Endrigo riconobbe un suo brano inciso nel 1974, composto insieme al cognato Del Turco e a Paolo Margheri, un paroliere dilettante.
La causa, durata 18 anni e forte di due sentenze che davano ragione salomonicamente a tutti e due (la prima a Bacalov e la seconda ad Endrigo), oggi finisce con la Cassazione che non ha fatto in tempo a esprimere un verdetto, perché Bacalov ha deciso di fare una transazione, riconoscendo la paternità della colonna sonora anche ai ricorrenti, e quindi con un nuovo deposito alla Siae, dove da ora appariranno, oltre al suo, anche i nomi di Endrigo, Del Turco e Margheri.
Una fortuna, perché il bel film di Troisi ha incassato una montagna di soldi in tutto il mondo e molti diritti per le musiche, e la sua colonna sonora è diventata un classico, un evergreen, con il tema magnificamente esposto dal bandoneon, fisarmonica cara agli argentini.
Soltanto che purtroppo Sergio Endrigo è morto il 7 settembre del 2005 e non potrà mai godersi questa vittoria, dovuta soprattutto alla tenacia di sua figlia Claudia e degli altri due musicisti aventi diritto.
Ad Endrigo una parte del triste oscar postumo, diviso in quattro, per un film poetico e malinconico come la sua musica e le sue storie.
martedì 24 settembre 2013
Il pianto di Balzaretti e la commedia umana
di Piero Montanari
Il derby nel calcio, si dice, è considerata partita a sé, e quello tra Roma e Lazio è ancora di più, è un derby nel derby, una partita nellla partita. Tanti sono i fattori che concorrono a farne qualcosa che esula da un semplice incontro di calcio tra due squadre rivali: c'è di mezzo il primato della città condivisa dalle due tifoserie, c'è dentro, quando va bene, il sarcasmo e gli sfottò che diventano spesso commedia dell'arte, soprattutto dal giorno dopo la gara, negli uffici, nei posti di lavoro, tra colleghi amici e rivali.
Il derby Roma-Lazio del 22 settembre 2013 si caricava poi un significato ulteriore: la voglia di rivincita della Roma sulla Lazio, dopo la partita persa il 26 maggio di quest'anno che è costata alla Roma la Coppa Italia, l'ingresso in Europa League e lo stesso derby, vittoria che i laziali poi non hanno smesso mai di festeggiare, almeno fino ad oggi, minuto 63 della partita.
Già, perché oggi è accaduto uno di quei piccoli miracoli che ogni tanto il calcio regala, ai tifosi, certo, ma anche a chi ama la commedia umana, che talvolta supera il gesto sporivo e ci affranca dalle banalità e dalle cattiverie che sempre troppo spesso avvelenano questo sport.
E' Federico Balzaretti, classe 1981, terzino sinistro, ex Juventus, Fiorentina, Palermo e Nazionale Italiana (partecipa agli ultimi europei) e dal 2012 in forza alla Roma, che ci fa vivere una di queste storie che, spero, possa rendere meno amara la sconfitta dei tifosi laziali.
Federico nella Roma non ha mai brillato, non ostante il suo impegno sempre costante e il suo forte senso di appartenenza alla squadra. Il suo altalenante rendimento gli aveva creato nella capitale molti detrattori che mai gli hanno risparmiato critiche pesanti, nel circo delle chiacchiere romano, unico nel suo genere, tra la miriade di radio e televisioni che fanno del calcio giocato un'appendice.
Ebbene, proprio nel derby del riscatto, nella partita più importante, che vale anche il primato in classifica, e sul risultato ancora in bilico, al criticato Federico capita - minuto 63 - la palla per fare gol. Tira bene, Balzaretti, ma il pallone bastardo gli si stampa sul palo della rete difesa da Marchetti. Una disdetta vera, proprio a lui che poteva diventare il nuovo Re di Roma e cancellare, in un attimo, tutte le critiche, tutta la negatività che si era portato addosso in quest'ultimo anno. Ma nulla, la palla non entra.
Però ecco il miracolo dello sport che si compie un secondo più tardi, solo un piccolo secondo, quelle cose che, se ci pensi, ti fanno amare il calcio e lo sport: la beffa si tramuta in splendida realtà.
Totti riprende la palla e confeziona un cross dei suoi, perfetto, col contagiri. Chi c'è a quel punto a raccoglierlo? Proprio l'affranto Balzaretti che aveva visto svanire il suo sogno di rivincita contro il legno laziale un secondo prima. Ma stavolta, con un bel sinistro al volo il pallone è nel sacco.
La telecamera, dopo aver indugiato sui festeggiamenti dei giocatori romanisti, inquadra finalmente Balzaretti con un primissimo piano, che ci svela il difensore colto da un pianto dirotto, interminabile, contagioso, dove dentro c'è tutto: la tensione della gara, le critiche feroci e la gioia, grande e incontenibile, di essere stato proprio lui, nella partita più importante, quella del riscatto, a portare in vantaggio la sua squadra e a cancellare, in un misero e piccolo secondo, tutte le amarezze.
Ecco perché penso che il pianto di Balzaretti, così umano e così sincero, restituisce al calcio un momento di quella verità e quell' umanità che spesso, troppo spesso, si smarrisce tra le ignobiltà di questo sport.
E tutto in un solo, piccolo secondo.
Il derby Roma-Lazio del 22 settembre 2013 si caricava poi un significato ulteriore: la voglia di rivincita della Roma sulla Lazio, dopo la partita persa il 26 maggio di quest'anno che è costata alla Roma la Coppa Italia, l'ingresso in Europa League e lo stesso derby, vittoria che i laziali poi non hanno smesso mai di festeggiare, almeno fino ad oggi, minuto 63 della partita.
Già, perché oggi è accaduto uno di quei piccoli miracoli che ogni tanto il calcio regala, ai tifosi, certo, ma anche a chi ama la commedia umana, che talvolta supera il gesto sporivo e ci affranca dalle banalità e dalle cattiverie che sempre troppo spesso avvelenano questo sport.
E' Federico Balzaretti, classe 1981, terzino sinistro, ex Juventus, Fiorentina, Palermo e Nazionale Italiana (partecipa agli ultimi europei) e dal 2012 in forza alla Roma, che ci fa vivere una di queste storie che, spero, possa rendere meno amara la sconfitta dei tifosi laziali.
Federico nella Roma non ha mai brillato, non ostante il suo impegno sempre costante e il suo forte senso di appartenenza alla squadra. Il suo altalenante rendimento gli aveva creato nella capitale molti detrattori che mai gli hanno risparmiato critiche pesanti, nel circo delle chiacchiere romano, unico nel suo genere, tra la miriade di radio e televisioni che fanno del calcio giocato un'appendice.
Ebbene, proprio nel derby del riscatto, nella partita più importante, che vale anche il primato in classifica, e sul risultato ancora in bilico, al criticato Federico capita - minuto 63 - la palla per fare gol. Tira bene, Balzaretti, ma il pallone bastardo gli si stampa sul palo della rete difesa da Marchetti. Una disdetta vera, proprio a lui che poteva diventare il nuovo Re di Roma e cancellare, in un attimo, tutte le critiche, tutta la negatività che si era portato addosso in quest'ultimo anno. Ma nulla, la palla non entra.
Però ecco il miracolo dello sport che si compie un secondo più tardi, solo un piccolo secondo, quelle cose che, se ci pensi, ti fanno amare il calcio e lo sport: la beffa si tramuta in splendida realtà.
Totti riprende la palla e confeziona un cross dei suoi, perfetto, col contagiri. Chi c'è a quel punto a raccoglierlo? Proprio l'affranto Balzaretti che aveva visto svanire il suo sogno di rivincita contro il legno laziale un secondo prima. Ma stavolta, con un bel sinistro al volo il pallone è nel sacco.
La telecamera, dopo aver indugiato sui festeggiamenti dei giocatori romanisti, inquadra finalmente Balzaretti con un primissimo piano, che ci svela il difensore colto da un pianto dirotto, interminabile, contagioso, dove dentro c'è tutto: la tensione della gara, le critiche feroci e la gioia, grande e incontenibile, di essere stato proprio lui, nella partita più importante, quella del riscatto, a portare in vantaggio la sua squadra e a cancellare, in un misero e piccolo secondo, tutte le amarezze.
Ecco perché penso che il pianto di Balzaretti, così umano e così sincero, restituisce al calcio un momento di quella verità e quell' umanità che spesso, troppo spesso, si smarrisce tra le ignobiltà di questo sport.
E tutto in un solo, piccolo secondo.
giovedì 12 settembre 2013
Il mondo dei '60 se ne va con Jimmy Fontana
di Piero Montanari
Cantava bene, Jimmy Fontana, ed aveva molto swing. "Lo swing o ce l'hai o non ce l'hai" mi aveva detto una volta alla Rca, la grande casa discografica romana che da tempo non esiste più, ma che è stata la madre di tutti gli artisti venuti fuori nei favolosi anni '60: Morandi, Pavone, Vianello, Meccia, Fidenco, solo per ricordarne pochi. E Jimmy Fontana, che così preferì chiamarsi agli inizi, piuttosto che il meno fantasioso Enrico Sbriccoli da Camerino: Jimmy in omaggio a Jimmy Giuffe, grande sassofonista americano del quale Enrico era fan, e Fontana, cognome scelto a caso.
Cantava bene, Enrico, ma con il jazz si mangiava poco o nulla a quel tempo a Roma, città che lo vide giovane studente di economia. Il salto dai localini fumosi, dove suonava il contrabbasso e cantava gli standard jazzistici col suo complessino, e la Rca che lo mise sotto contratto dopo aver ascoltato la sua bella voce, fu fatale per il suo successo.
Fu in quegli studi che Jimmy incontrò il geniale produttore Lilli Greco, che lo prese sotto la sua ala protettiva e produttiva, divenendo anche suo grande amico. Lilli pensò subito di togliere a quel giovanotto con quella bella voce, la cadenza del cantante di jazz, per trasportarlo immantinente nella musica pop di quei tempi.
Ed ecco nascere canzoni come "Il cha cha cha dell'impiccato" con i Flippers, e il suo primo grande successo da solista, "Non te ne andare". Ma la bomba arriva nel 1965 con "Il mondo", scritta con Meccia e Carletto Pes, ed arrangiata dal Maestro Ennio Morricone, in forza a quei tempi alla Rca. Col successo arrivano i primi film cosiddetti "musicarelli" ed una vittoria al Cantagiro del 1967 con "La nostra favola".
Ma è del 1971 il brano che farà di Jimmy un autore internazionale: "Che sarà", soprattutto nella fantastica versione che ci regalò il grande Josè Feliciano, e che Jimmy curò personalmente in America. Il brano, che arrivò al 2° posto al festival di Sanremo di quell'anno, lo voleva cantare lui, ma il grande capo Rca Ennio Melis si impuntò per darlo ad un giovane gruppo vocale, I Ricchi e Poveri, che ne fecero un loro cavallo di battaglia.
Enrico soffrì molto l'esclusione, tanto da aver voglia di smettere e tornarsene a Macerata per fare altro. Ma stare troppo tempo lontani dalle scene per gli artisti è impossibile e fa male, e Jimmy tornò dopo qualche anno a regalarci, con quella bella voce limpida e tagliente, altre canzoni.
Nessuna di queste, però, seppe bissare i successi che aveva inanellato negli anni giovanili. Forte della presenza artistica dei suoi figli musicisti, riprese a scrivere e a cantare, persino con altre "vecchie glorie" degli anni '60, i Superquattro: Gianni Meccia, Nico Fidenco, Riccardo Del Turco e lui, che insieme riproponevano medley dei loro brani che li resero famosi.
Quel ragazzo con quella bella voce limpida e tagliente e piena di swing, oggi se n'è andato a quasi 79 anni, e "il mondo che non si è fermato mai un momento" stavolta si è fermato per tributare a Jimmy Fontana l'ultimo commosso applauso.
Cantava bene, Jimmy Fontana, ed aveva molto swing. "Lo swing o ce l'hai o non ce l'hai" mi aveva detto una volta alla Rca, la grande casa discografica romana che da tempo non esiste più, ma che è stata la madre di tutti gli artisti venuti fuori nei favolosi anni '60: Morandi, Pavone, Vianello, Meccia, Fidenco, solo per ricordarne pochi. E Jimmy Fontana, che così preferì chiamarsi agli inizi, piuttosto che il meno fantasioso Enrico Sbriccoli da Camerino: Jimmy in omaggio a Jimmy Giuffe, grande sassofonista americano del quale Enrico era fan, e Fontana, cognome scelto a caso.
Cantava bene, Enrico, ma con il jazz si mangiava poco o nulla a quel tempo a Roma, città che lo vide giovane studente di economia. Il salto dai localini fumosi, dove suonava il contrabbasso e cantava gli standard jazzistici col suo complessino, e la Rca che lo mise sotto contratto dopo aver ascoltato la sua bella voce, fu fatale per il suo successo.
Fu in quegli studi che Jimmy incontrò il geniale produttore Lilli Greco, che lo prese sotto la sua ala protettiva e produttiva, divenendo anche suo grande amico. Lilli pensò subito di togliere a quel giovanotto con quella bella voce, la cadenza del cantante di jazz, per trasportarlo immantinente nella musica pop di quei tempi.
Ed ecco nascere canzoni come "Il cha cha cha dell'impiccato" con i Flippers, e il suo primo grande successo da solista, "Non te ne andare". Ma la bomba arriva nel 1965 con "Il mondo", scritta con Meccia e Carletto Pes, ed arrangiata dal Maestro Ennio Morricone, in forza a quei tempi alla Rca. Col successo arrivano i primi film cosiddetti "musicarelli" ed una vittoria al Cantagiro del 1967 con "La nostra favola".
Ma è del 1971 il brano che farà di Jimmy un autore internazionale: "Che sarà", soprattutto nella fantastica versione che ci regalò il grande Josè Feliciano, e che Jimmy curò personalmente in America. Il brano, che arrivò al 2° posto al festival di Sanremo di quell'anno, lo voleva cantare lui, ma il grande capo Rca Ennio Melis si impuntò per darlo ad un giovane gruppo vocale, I Ricchi e Poveri, che ne fecero un loro cavallo di battaglia.
Enrico soffrì molto l'esclusione, tanto da aver voglia di smettere e tornarsene a Macerata per fare altro. Ma stare troppo tempo lontani dalle scene per gli artisti è impossibile e fa male, e Jimmy tornò dopo qualche anno a regalarci, con quella bella voce limpida e tagliente, altre canzoni.
Nessuna di queste, però, seppe bissare i successi che aveva inanellato negli anni giovanili. Forte della presenza artistica dei suoi figli musicisti, riprese a scrivere e a cantare, persino con altre "vecchie glorie" degli anni '60, i Superquattro: Gianni Meccia, Nico Fidenco, Riccardo Del Turco e lui, che insieme riproponevano medley dei loro brani che li resero famosi.
Quel ragazzo con quella bella voce limpida e tagliente e piena di swing, oggi se n'è andato a quasi 79 anni, e "il mondo che non si è fermato mai un momento" stavolta si è fermato per tributare a Jimmy Fontana l'ultimo commosso applauso.
La storia triste della salma di Battisti
di Piero Montanari
Da ieri, 6 settembre, il piccolo cimitero di Molteno, la cittadina brianzola dove Lucio Battisti aveva deciso di vivere e morire lontano da tutto e da tutti, sarà privato della salma del grande cantautore reatino per volere della sua famiglia. Così hanno deciso la vedova, Grazia Letizia Veronese, e il figlio Luca Carlo che vive a Rimini e che probabilmente avrà le spoglie di suo padre vicino, magari anche cremate.
La storia di questa traslazione è piuttosto triste, com'è stata triste l'uscita di scena di Lucio anni fa quando, come Mina (che però non ha mai smesso di regalarci canzoni) si allontanò definitivamente dalle scene e non volle più tornarci, fino alla morte avvenuta a 55 anni il 9 settembre del 1998. Ricordo l'ultima apparizione in video di Battisti, il 4 luglio 1980, in una trasmissione della tv svizzera, nella quale cantò, qualcuno sostiene per una scommessa, "Amore mio di provincia" e dove si vede il cantautore ingrassato e irriconoscibile.
Triste uscita dal cimitero di Molteno, si dice perché motivata da unaquerelle tra la signora Veronese e il comune, per via di un festival intitolato al cantautore ai cui organizzatori fu intentato un ricorso per bloccarlo, ricorso che la vedova ha poi perduto.
Triste storia, anche perché le migliaia di ammiratori che andavano ogni anno a rendere omaggio alla tomba di Lucio, oggi non sanno dove portare un fiore o un biglietto d'affetto.
Triste seguito ha avuto la "vita" di Battisti anche dopo la sua morte, allontanato, nascosto da tutti e protetto come la reliquia di un santo intoccabile. Poco o nulla si può fare a suo nome e con le sue canzoni, un ricordo, una trasmissione televisiva, un festival, senza dover, anche giustamente, chiedere il permesso ai suoi eredi, e quasi mai ottenendolo.
Pur non condividendole, ma nel rispetto delle decisioni fortemente protezionistiche della sua vedova, dico però che autori come Lucio, un pezzo importante di storia sociale e musicale del nostro paese, non possono essere chiusi in un cassetto per poi gettare via la chiave. Capisco guardarsi dai vampiri sfruttatori sempre in agguato, ma non dimentichiamo che le canzoni, una volta scritte, appartengono anche alla gente e non più solo al loro autore.
Per questo voglio ricordare Fabrizio De Andrè, che ha in sua moglie, Dori Ghezzi, la più grande e generosa divulgatrice dell'opera di Faber. Decine sono ogni anno i festival a suo nome e centinaia lecover band che suonano le sue canzoni, senza che questo dia motivo di querele o diatribe legali.
Quest'estate ho presieduto una giuria a Soriano nel Cimino, piccolo paese a nord di Roma, che per il secondo anno ha organizzato un bellissimo festival dal titolo "Risonando De Andrè", e che ha visto l'avvicendarsi di alcuni tra i migliori gruppi italiani suonare la musica del cantautore genovese.
Dori Ghezzi era là e non ho mancato di dirle quanto questa sua disponibilità nei confronti del ricordo di suo marito fosse apprezzabile. Lei, per tutta risposta e con un sorriso disarmante, mi ha detto: "Ma non sono io, è Fabrizio che lo vuole e si fa ricordare da solo!"
La storia di questa traslazione è piuttosto triste, com'è stata triste l'uscita di scena di Lucio anni fa quando, come Mina (che però non ha mai smesso di regalarci canzoni) si allontanò definitivamente dalle scene e non volle più tornarci, fino alla morte avvenuta a 55 anni il 9 settembre del 1998. Ricordo l'ultima apparizione in video di Battisti, il 4 luglio 1980, in una trasmissione della tv svizzera, nella quale cantò, qualcuno sostiene per una scommessa, "Amore mio di provincia" e dove si vede il cantautore ingrassato e irriconoscibile.
Triste uscita dal cimitero di Molteno, si dice perché motivata da unaquerelle tra la signora Veronese e il comune, per via di un festival intitolato al cantautore ai cui organizzatori fu intentato un ricorso per bloccarlo, ricorso che la vedova ha poi perduto.
Triste storia, anche perché le migliaia di ammiratori che andavano ogni anno a rendere omaggio alla tomba di Lucio, oggi non sanno dove portare un fiore o un biglietto d'affetto.
Triste seguito ha avuto la "vita" di Battisti anche dopo la sua morte, allontanato, nascosto da tutti e protetto come la reliquia di un santo intoccabile. Poco o nulla si può fare a suo nome e con le sue canzoni, un ricordo, una trasmissione televisiva, un festival, senza dover, anche giustamente, chiedere il permesso ai suoi eredi, e quasi mai ottenendolo.
Pur non condividendole, ma nel rispetto delle decisioni fortemente protezionistiche della sua vedova, dico però che autori come Lucio, un pezzo importante di storia sociale e musicale del nostro paese, non possono essere chiusi in un cassetto per poi gettare via la chiave. Capisco guardarsi dai vampiri sfruttatori sempre in agguato, ma non dimentichiamo che le canzoni, una volta scritte, appartengono anche alla gente e non più solo al loro autore.
Per questo voglio ricordare Fabrizio De Andrè, che ha in sua moglie, Dori Ghezzi, la più grande e generosa divulgatrice dell'opera di Faber. Decine sono ogni anno i festival a suo nome e centinaia lecover band che suonano le sue canzoni, senza che questo dia motivo di querele o diatribe legali.
Quest'estate ho presieduto una giuria a Soriano nel Cimino, piccolo paese a nord di Roma, che per il secondo anno ha organizzato un bellissimo festival dal titolo "Risonando De Andrè", e che ha visto l'avvicendarsi di alcuni tra i migliori gruppi italiani suonare la musica del cantautore genovese.
Dori Ghezzi era là e non ho mancato di dirle quanto questa sua disponibilità nei confronti del ricordo di suo marito fosse apprezzabile. Lei, per tutta risposta e con un sorriso disarmante, mi ha detto: "Ma non sono io, è Fabrizio che lo vuole e si fa ricordare da solo!"
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Premio alla Cultura
PREMI SPECIALI
A BENEMERITI DELLA CULTURA
(Trofeo di Cristallo e Medaglia d’oro del Presidente dell’Ass. Cult. “P. Raffaele Melis O.M.V.”)
Musicista Regista Maestro PIERO MONTANARI
Roma
Premio “Francesco Di Lella”
“Per avere contribuito con la musica e la regia all’evoluzione ed all’affermazione di attori e cantanti di chiara fama nazionale ed internazionale, lasciando un segno vivo nel panorama cinematografico e musicale italiano, senza mai desistere anche in un periodo così difficile ed arduo come l’attuale.”
Firmato Augusto Giordano, Getulio Baldazzi, P.Ezio Bergamo, Rita Tolomeo, Maurizio Pallottí, Domenico Di Lella, Maria Fichera, Gianni Farina, Rita Pietrantoni, Paola Pietrantoni, Domenico Gilio.
A BENEMERITI DELLA CULTURA
(Trofeo di Cristallo e Medaglia d’oro del Presidente dell’Ass. Cult. “P. Raffaele Melis O.M.V.”)
Musicista Regista Maestro PIERO MONTANARI
Roma
Premio “Francesco Di Lella”
“Per avere contribuito con la musica e la regia all’evoluzione ed all’affermazione di attori e cantanti di chiara fama nazionale ed internazionale, lasciando un segno vivo nel panorama cinematografico e musicale italiano, senza mai desistere anche in un periodo così difficile ed arduo come l’attuale.”
Firmato Augusto Giordano, Getulio Baldazzi, P.Ezio Bergamo, Rita Tolomeo, Maurizio Pallottí, Domenico Di Lella, Maria Fichera, Gianni Farina, Rita Pietrantoni, Paola Pietrantoni, Domenico Gilio.
Il premio sarà conferito il 13 giugno 2010 alle ore 16 al teatro S. Luca, in via Lorenzo da' Ceri 136 - Roma.