(Romano con la fisarmonica ad Ischia con Calise al centro)
di Piero Montanari
(seconda parte)
Era timido, dicevo, ma goliarda e buontempone, incline al “cazzeggio”, sempre con la battuta pronta, una barzelletta da raccontare e con la voglia di ridere. Aveva terrore di tutto ciò che potesse essere serio. Sembrava non volesse mai approfondire gli argomenti o impegnarsi più di tanto, come se volesse sempre veleggiare leggero al di sopra di tutte le situazioni scomode, con la sua nevrosi che lo obbligava ad alleggerire tutto, anche quando si presentavano problemi da risolvere.
Per via di questa timidezza era un po’ goffo e spesso impacciato, ma davanti al pianoforte si trasformava in un musicista possente e trascinatore. Suonava il piano jazz meravigliosamente e lo suonava senza averlo mai studiato, in senso canonico. I suoi percorsi musicali erano stati altri: aveva imparato a suonare, come si diceva, ascoltando i dischi di jazz che il fratello Vittorio, grande appassionato del genere, gli aveva regalato. Erano proprio quei ‘Victory disc’ , i V disc come li chiamavano all’epoca, una delle cose buone arrivate con gli americani, insieme alla cioccolata ed alle gomme da masticare. Gli americani, i “freerer”, i liberatori che cacciarono Hitler ed i fascisti dall’Italia e dall’Europa. I V disc erano intrisi di quella nuova musica che nel nostro paese si era ascoltata poco, per via dell’autarchia e della xenofobia fascista. Quella musica nuova piaceva molto a Romano e lo conquistò, tanto da fregarsene se il fascismo l’aveva messa in mora e, in qualche modo, cercato di italianizzare stupidamente (“St. Louis blues” e “Honeysuckle rose” erano diventati per il ventennio “Le tristezze di san Luigi” e “Pepe sulle rose”).
Fu così che Romano, confinato alla fine della guerra ad Ischia con il resto della sua famiglia (Donna Rachele, Annamaria, Vittorio ed Edda) iniziò ad appassionarsi seriamente al pianoforte che aveva in casa e che suonava anche dodici ore al giorno. In seguito, come abbiamo raccontato nella prima parte, entrò nel complessino di Ugo Calise, il cantautore ischitano, anch’egli grande appassionato di jazz.
(Romano in braccio al padre)
In realtà dai Mussolini la musica aveva sempre avuto un posto d’onore, se non altro per i dischi che il duce era uso ‘suonare’ quando tornava a casa la sera dopo il suo ufficio. - Erano dischi di jazz – racconta Romano, - a mio padre piaceva molto - senza mai aggiungere che al resto d’Italia non era concesso ascoltarli. E poi il duce suonava il violino. La storia di questo violino appartenuto a Mussolini è ormai diventata leggenda nazionale: sembra ne circolino nel mondo almeno una decina, di cui due o tre di dubbia provenienza e tutti gli altri forse autenticati da Romano… Una piccola furbata? Può darsi, non è dato saperlo, ed è con affetto sincero che svelo qualche piccolo espediente che permetteva a Romano di non vivere in bolletta, com’era solito vivere lui.
Per tutta la vita aveva avuto a che fare con problemi economici e li risolveva a suo modo, come poteva. Un giorno il violino del padre, l’altro gli orologi firmati da lui, un altro ancora i quadri. Certo, c’era la musica e c’erano i concerti, ma non sempre i soldi bastavano, soprattutto a lui che si lamentava di avere più famiglie a carico.
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