Straordinario e inquietante articolo di Giancarlo, che ci offre molti spunti di riflessone soprattutto in questo momento storico nel quale la cultura sta avendo la peggio.
Caro Direttore,
due notizie di oggi mi invitano a ricordi e riflessioni.
Comincio dalla riflessione: se un giocatore dei "bleus", la nazionale di calcio francese, avesse offeso la Marsigliese, come ha fatto il signor Marchisio con l'Inno di Mameli, secondo te sarebbe partito per il Sud Africa? Io penso proprio di no, perché sarebbe arrivato l'ordine dalla federazione calcio di rimandarlo a casa, spernacchiato da tutti i francesi. Perché la Marsigliese per i francesi è sacra, come dovrebbe essere sacro l'Inno d'Italia per gli italiani. C'è stato un periodo della storia d'Italia in cui l'inno non veniva suonato neppure quando arrivava il Presidente della Repubblica. Ricordo una sera all'Opera di Roma. Prima dello spettacolo il pubblico era già seduto, l'orchestra era schierata sul palco pronta per iniziare il concerto, quando entrò il Presidente Cossiga. Se all'opera di Parigi fosse entrato Mitterand, il pubblico si sarebbe alzato in piedi e l'orchestra avrebbe attaccato la Marsigliese. A Roma non successe niente di tutto questo, Cossiga entrò alla chetichella come uno spettatore ritardatario, l'orchestra tacque e il pubblico non solo non si alzò in piedi ma non fece neppure un timido applauso. Erano anni in cui nessuno usava più la parola "Italia", sostituita da un più generico "il nostro Paese". Fu Francesco De Gregori a sdoganare il nome della nostra nazione, con una delle sue più belle canzoni, "Viva l'Italia", che conteneva versi straordinari come "viva l'Italia nella notte scura, viva l'Italia che non ha paura". Ci pensò poi Carlo Azeglio Ciampi (e oggi Giorgio Napolitano sta continuando il suo insegnamento) a rilanciare i simboli della Patria: la bandiera e l'Inno. Ricordò a tutti che quell'inno, scelto in via provvisoria ma reso oramai definitivo, come inno nazionale dai Padri Costituenti, era stato scritto tanti anni fa da un giovane, Goffredo Mameli, che all'età di 22 anni, aveva lasciato la vita sulle barricate garibaldine, nell'estrema difesa della Repubblica romana. Sono parole demodé, quelle di Mameli, rese incomprensibili dal tempo. Chi capisce più il significato di versi come questi: "... dell'elmo di Scipio si è cinta la testa/ dov'è la vittoria/ le porga la chioma/ ché schiava di Roma/ Iddio la creò..."? Quanti saprebbero riconoscere in questo misterioso Scipio, Scipione l'Africano? Bossi ha mostrato di non capire neppure il senso grammaticale di questi versi, quando disse "schiava di Roma giammai...", non avendo capito che è la vittoria ad essere schiava di Roma. Della Roma antica, della Roma che conquistò tutto il mondo conosciuto al quale portò leggi e civiltà, e non la Roma, capitale d'Italia di oggi, sede del governo a cui i leghisti attribuiscono le peggiori malefatte, racchiuse nell'epiteto "ladrona" che l’ignaro Marchisio ha aggiunto alle parole di Goffredo Mameli.
Ho letto la notizia sul web dove si diceva che molti chiedevano a gran voce l'esclusione dalla nazionale di Marchisio. Devo dire che la notizia mi ha dato qualche speranza: vuoi vedere, mi sono detto, che gli italiani di internet si sono indignati? E invece no, si sono indignati i tifosi della “Roma” calcistica che hanno ricordato a Marchisio che la squadra “ladrona” per eccellenza è propria quella in cui lui milita: la Juventus.
Che fare? Marcello Marchesi direbbe: “di fronte a questi fatti, Santa Rita… s’accascia”. E anche io, lungi dall’accostarmi a Santa Rita, mi sono accasciato.
Il ricordo me lo suggerisce Ombretta Colli che ha detto che le canzoni di Gigi D’Alessio danno più l’idea della grande Napoli dei discorsi di Saviano. Io tanti anni fa dirigevo la fiction di Raiuno che produceva “La Piovra”. Ebbene di discorsi come quelli della Colli che, se non fossero un segno dei brutti tempi che stiamo vivendo, ci metterebbero di buonumore, io all’epoca della Piovra me ne sono sentiti fare tanti, alcuni a brutto muso. E se non ci fosse stato un grande direttore come Biagio Agnes a difenderci, avremmo rischiato grosso. “Denigra l’Italia all’estero” dicevano, dimenticando che a denigrare il nostro paese era il fenomeno della mafia e non la sua rappresentazione.
Caro Direttore, forse ha ragione la Colli, perché starsi a preoccupare di troppe cose, quando (detto con le parole di Fiorelli e Valente che scrivevano canzoni molto più belle di quelle che canta oggi D’Alessio) “basta che ce sta ‘o sole/ ca c’è rimasto ‘o mare/ ‘na nenna a core a core/ ‘na canzone pe’ canta…”.
E se lo dice Ombretta Colli che fa parte della commissione cultura della Camera, ci possiamo credere.
Mi scuso per lo sfogo e ti ringrazio per l’attenzione.
Post scriptum
Va bene. Ammettiamo che Marchisio sia innocente e che non abbia mai aggiunto il famigerato aggettivo "ladrona" al sostantivo Roma. Il discorso sul rispetto dei simboli della Patria vale lo stesso. Come vale il ricordo di Mameli. Come vale l'ignoranza di Bossi e compagni i quali, alla cerimonia del 2 giugno, hanno avuto l'impudenza di suonare "la gatta" di Paoli. Provate a togliere il riferimento a Marchisio e vedrete che l'articolo ha egualmente valore, perché esprime una opinione che avrebbe potuto essere espressa già in altre occasioni. Nelle tante occasioni che i leghisti da anni non ci fanno mancare.