Il troppo social che fa male alla socialità
di Piero Montanari
Mattinata d'estate in uno stabilimento della costa laziale. Mi colpisce un'immagine e per fortuna ho a portata di mano il mio smartphone di ultimissima generazione che fa più cose di quelle che riesco a pensare (ecco svelato il mio gap che evidenzia il deficit d'immaginazione tecnologica).
La foto è inequivocabile, e mi sono sentito per un attimo Cartier - Bresson, genio unico per coglierlo quell'attimo e non farlo fuggire. Cinque ragazzi adolescenti con uno smart in mano che "comunicano" solo attraverso il telefonino senza parlarsi nè guardarsi. Magari si stanno scrivendo cose che potrebbero dirsi a voce, o spedendo una foto di qualcosa che potrebbero vedere insieme in quel momento, chissà.
Una situazione attuale, si potrebbe dire, persino normale oggi, soprattutto tra le nuove generazioni, che mutuano il loro linguaggio e le loro relazioni attraverso vari aggeggi elettronici, dei quali lo smatphone è il re indiscusso, che, forse, permette anche loro di superare timidezze e insicurezze: le parole che non riesco a dirti te le scrivo e ne sto lontano... fine degli odori e delle sensazioni tattili e visive da condividere (se non quelle tattili del telefono).
La rivoluzione tecnologica soprattutto nell'ambito della comunicazione, tra social e telefonia intelligente, che riesce a far scoppiare persino le rivoluzioni, che permette a tutto il mondo di essere in contatto in real time, di fare sesso virtuale, di spedirsi parti del corpo tra innamorati come andare dal pizzicagnolo ("tesoro, fammi tre etti di tette e quattro fettine di sedere,"), che consente a chiunque di riprendere chiunque, fotografare, spedire, cambiare, abbellire imbruttire, e talvolta mortificare. Ebbene, questa facilità estrema di comunicare istanti e sentimenti e rappresentarli senza filtri di sorta, invece di essere il trionfo della comunione tra umani, sembrerebbe proprio il contrario. Come ben mostra questo scatto, in un giorno d'agosto, in uno stabilimento della costa laziale.
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