venerdì 29 ottobre 2010

Rino Gaetano, 60 anni e una storia

Oggi Rino Gaetano, il mitico cantautore crotonese, se non avesse incontrato quel maledetto camion Fiat 650D sulla corsia opposta alla sua sulla via Nomentana di Roma, alle 4 del mattino del 2 giugno 1981, ma soprattutto, se non fosse stato rifiutato da ben cinque ospedali - seppur prontamente soccorso – compirebbe 60 anni. Troppi sono i "se" e Rino non c'è più.
Ho avuto con lui una storia di amicizia e professionale, quindi lo voglio ricordare raccontando anche l’ambiente nel quale si è formata ed è esplosa la sua particolare personalità artistica. Lo racconterò a piccole puntate non per creare attese, ma solo perché troppo lungo.
Voglio solo dire che in questo caso la sua morte ce lo ha consegnato - a distanza di trent’anni – come un mito dei nostri tempi, immortale e trasversale, “buono” per tutte le culture e per tutte le generazioni.

Nei primi anni ’70 ero un assiduo frequentatore del Folkstudio, quando da Via Garibaldi si spostò a Via Gaetano Sacchi, sempre nel rione Trastevere e quando Giancarlo Cesaroni lo rilevò dal fondatore Harold Bradley, artista pittore e musicista. Il locale era un cantinone con ampi spazi (probabilmente un ex magazzino o bottegone di artigiano) dove c’era un grande ingresso ed una bella sala piena di vecchie sedie con il palco per esibirsi. Un luogo assolutamente grezzo e spoglio, come si voleva all’epoca, dove la sostanza prevaleva sull’estetica. Pareti ricoperte di iuta, tavolacci di legno per bere e panche sconnesse per sedersi. Sedie impagliate, faretti, manifesti alle pareti di artisti di riferimento, compreso Bob Dylan che vi si esibì nel 1962 di passaggio a Roma per andare a trovare la sua ragazza a Perugia. Si racconta che c’erano non più di 15 persone… ma questa è storia conosciuta.
C’era una programmazione che combinava Jazz e musica folk, cantautori esordient,i festival di jazz&folk a millecinquecento lire consumazione compresa. Tutti eravamo spettatori e protagonisti di volta in volta. Là ho suonato con jazzisti famosi e con cantanti esordienti solo per il gusto ed il piacere di esserci anch’io. Non esisteva a Roma ma nemmeno in Italia un altro locale così, ricco di speranze artistiche e politiche, pieno di energie nuove e rivoluzionarie. Vide un lento declino col cambiare delle cose. Probabilmente vinse su tutti il “pescivendolo” che abitava sopra al locale, personaggio e spauracchio mitico forse inventato da Giancarlo Cesaroni per farci abbassare il volume della musica.
Roma in quel momento sembrava essere diventata il  centro della discografia italiana, brulicava di iniziative e di personaggi più o meno strampalati in cerca di fortuna e visibilità, studi di registrazione, e la grande mamma RCA pronta ad accogliere, sperimentare, lanciare o buttare via.
Sempre nei primi anni ’70 eravamo uno sparuto gruppo di musicisti  esordienti che cercavano opportunità lavorative (Roberto Conrado, Luigi Lopez, Loredana Bertè e la sorella Mia Martini, Renatino Zero, Amedeo Minghi, Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Mimmo Locasciulli etc). Suonavo nei concerti con Romano Mussolini e Tony Scott, ma mi piaceva anche molto la musica pop ed avevo il pallino di diventare un turnista in sala di registrazione. L’opportunità ci venne data dall’apertura di una di queste, lo “Studio 38” a via Guido Banti, nel quartiere chic di Vigna Clara, con annessi gli uffici di una nuova etichetta discografica, la Apollo Records di Vianello (con il quale mi esibivo in tour) e Califano. Fortuna volle che l’altra parte degli uffici venne occupata dalla IT di Vincenzo Micocci (...Vincenzo io t’ammazzerò/ perché sei troppo stupido per vivere/ gli cantava gentilmente Alberto Fortis, per essere stato da lui sfanculato come artista… ) Personalmente mi sentii in un ventre di vacca perché incominciai ad essere chiamato a suonare da tutti. Infatti iniziai con De Gregori (Alice non lo sà) proseguendo con Minghi (Amedeo Minghi), Edoardo De Angelis, Renato Zero (No mamma, no, però nei grandi studi dell’RCA, alla quale sia la It che la Apollo erano affiliate), Rino Gaetano (I love you Maryanna) che produssi anche. Ma anche tanti altri come: Edoardo e Stelio (Lella), Daniela Goggi, I Vianella (Semo Gente de Borgata) etc. Insomma, quel posto era il fulcro dell’attività di molti giovani esordienti musicisti. Ovviamente, considerate le giovani età e l’inesperienza, le sedute di registrazione spesso erano totalmente disorganizzate! Ricordo il primo giorno che ci riunimmo per registrare “Alice non lo sa”, nella più assoluta ingenuità eravamo solo in tre: Francesco De Gregori, il fonico Aurelio Rossitto ed io. Dissi a Francesco che sarebbe stato meglio chiamare qualcun altro, un batterista ed un chitarrista. Feci un po’ di telefonate e nel pomeriggio si presentarono Massimo Buzzi e Jimmy Tamborrelli, cosicchè potemmo iniziare a lavorare sui brani. Ovviamente non c’erano direttori o arrangiatori, quindi ognuno di noi si prodigava ad organizzare la seduta e a mettere a posto i pezzi. Spesso scrivevo le parti per gli altri musicisti ed inventavo l’arrangiamento, senza che questo fosse riconosciuto economicamente o, magari, scritto nei crediti del disco. Ma allora funzionava così... (fine prima parte)

mercoledì 27 ottobre 2010

La gabbia dei matti

Perdonatemi perché so già che adesso qualcuno si indignerà, ma penso fortemente che lo stadio di calcio ( non quello di atletica leggera…) sia una gabbia di matti, ove, per dinamiche di gruppo, frustrazioni, appartenenze politiche, societarie e vattelappesca, avvengono efferratezze che non sarebbero possibili da nessun' altra parte, e dove sono successi avvenimenti che ancora alimentano gli incubi delle mie notti insonni.
Heysel per primo, un orrore in diretta tv che lo sport si porterà dietro a vita, dove morirono schiacciate e calpestate 39 persone a causa dei matti del Liverpool. Lì la gabbia non resse e crollò una tribuna.
Poi il 28 ottobre del 1979, in occasione di un derby Roma-Lazio, prima della partita e dopo una serie di striscioni offensivi,  croci sul campo e sequele di insulti tra le due curve, da quella romanista partì un razzo metallico da segnalazione, gittata 2 chilometri, un missile terra-aria praticamente,  che colpì un povero tifoso laziale, Vincenzo Paparelli, che era lì per godersi lo spettacolo del calcio. Il razzo “Cruise” lo colpì in un occhio e, poco più che trentenne, perse la vita nella gabbia dei matti. E fu il secondo morto negli stadi.
Il primo si chiamava Gaetano Plaitano che nel 1962 si beccò un proiettile nella partita Salernitana-Potenza.
Da quel momento il conto dei morti del calcio si allunga tristemente. Sembra una guerra: Raciti, De Falchi, Currò, Ercolano, Sandri…nomi destinati a non rimanere isolati e ne dimentico tanti, troppi.  La gabbia di matti.
E pensare che adoro il calcio. Me ne trasmise l’amore mio padre. Si chiamava Memmo Montanari ed era un personaggio che ha contribuito alla storia della A.S. Roma, bontà sua.
Non potevo esimermi, quindi, dal coinvolgere in questa passione mio figlio, oggi dodicenne, che ha fatto del calcio il suo sport. Spesso lo accompagno alle partitelle dei ragazzini e, sugli spalti dei piccoli stadi dei Castelli Romani, gabbiette di matti, spesso mi imbatto con genitori che danno sfogo alle loro aspirazioni sulla prole, abbaiando insulti inutili ad arbitri improvvisati o a giocatori-bambini solo per qualche fallo. Generalmente sono quelli che pensano di avere in casa Maradona o Pelè.
Certo è che i giocatori professionisti famosi, uomini esemplari per contratto, spesso non fanno gran mostra di serenità, sia in campo che fuori, alimentando la follia dei “tifosi”.
E’ storia di questi giorni l’inferno scatenato da Ivan il Terribile a Genova ma anche della rissa di Adrian Mutu, top-player della Fiorentina con alle spalle un anno di squalifica per cocaina, che in un ristorante romano, in una serata di festa, ha preso a pugni e mandato all’ospedale un cameriere.
Non è così che si sedano i matti...

venerdì 22 ottobre 2010

Culetto biancogliglio, ovvero, Busi contro Ferro

Qualche settimana fa demmo conto su queste pagine delle dichiarazioni pubbliche di Tiziano Ferro sulla sua omosessualità, plaudendo alla fine il coraggio di averlo fatto, da personaggio pubblico quale lui è, in un paese “difficile” come il nostro e in un momento storico dove ci son sempre più segnali inquietanti di barbarie e oscurantismi, tanto da ricordare orribili pagine di storie medievali. A proposito, mi permetto una piccola digressione fiosofica: ma fosse che l’Uomo in questi ultimi mille anni non è cambiato di molto, non ostante il Rinascimento e l’Illuminismo? A voi Michele e Sabrina Misseri (tanto per citare gli ultimi) vi sembrano epigoni del pensiero di Voltaire o Diderot? A me no.

Torniamo all’argomento in questione: Aldo Busi, a differenza di altri omosex pubblici che hanno confortato l’outing di Tiziano Ferro con parole di elogio (tra questi: Cecchi Paone, Fabio Canino, Vladimir Luxuria che sostiene di conoscere da tempo il “segreto”, da quando Ferro frequentava il locale gay Muccassassina) attacca Tiziano con parole durissime, al suo solito, dicendogli che si è svelato in sospettoso ritardo, che aveva aspettato di fare successo, ingannando soprattutto le sue fans che lo sognavano come “fidanzatino”, che ora, per espiare questo successo “usurpato”, sarà obbligato a pubblicare album anticlericali e antifascisti, oppure, come dice testualmente Busi: “tanto valeva che restasse un ipocrita culetto biancogiglio in attesa di ritornare obeso”. E rinforza: “Sarebbe ora che gli italiani e le italiane ascoltassero meno refrain su finti amori infelici/felici e si leggessero almeno Seminario sulla gioventù. Possibile che in questo paese a parte me nessuno faccia mai la sua parte senza aspettare di farla una volta morto, cioè di solito già da vivo?".

Non viene dato sapere cosa Tiziano abbia risposto a Busi, se lo ha fatto, e il rischio che si corre è scadere sul pettegolezzo più retrivo (non a caso la “notizia” viene da Novella 2000) ma, se non fosse per l’omofobia che ancora spadroneggia in questo paese e che condanna le scelte sessuali dei suoi cittadini, sarebbe da farci su una bella risata. Un retropensiero? Forse Ferro il “culetto biancogiglio”, se ha taciuto come ha fatto, non se lo sentiva molto protetto...

lunedì 18 ottobre 2010

"E' la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente!"


 Arriverò buon ultimo a considerazioni pseudo sociologiche sull’uso improprio dei media e soprattutto della Grande Regina - Cattiva Maestra telelevisione, ma il malloppo di marchesiana memoria sta per esplodere e prego chiunque di darmi una mano a sopportare lo scempio che ne seguirà.
Tralasciamo per un momento i luoghi comuni del tipo: viviamo in una società di massa, media-dipendente (ma va?), le cose non accadono se non sono in televisione, non si esiste fintanto che non si appare etc. Pixel, ergo sum.
Ma la misura si è davvero colmata e il guano deborda dalla secchia immonda con le ultime storie di delitti truculenti, dove la televisione, più di qualsiasi altro informatorio comune, diventa il tòpos dove avvengono i processi, le rivelazioni,  (la mamma di Sarah Scazzi conoscerà la sorte della figlia in diretta tv, a Chi l’ha visto?, e la telecamera in ppp che sguazza tra le pieghe-piaghe dell’orrore impietoso del viso pietrificato, la cugina-sorella Sabrina Misseri che guida le decine di dirette televisive, tra bugie e mezze verità, seduta sul suo salotto di casa che manda sms ai vari giornalisti asserragliati con la gente comune fuori della horror house, meta di pellegrinaggi di curiosi, o mentre, ormai in cella, chiede alla sorella Valentina: “Che dice di me la gente al paese e le televisioni, che dicono”?  - o magari, a pensar male, le avrà pure chiesto: ”Come vengo in TV?). Non dimentichiamoci che Sabrina Misseri aspirava a diventare un personaggio del Grande Fratello (quello finto).
La tv dunque come luogo ormai deputato per le confessioni, ricerche di colpevoli o di scomparsi,  famiglie che si ritrovano, gente che fa la pace, e la guerra, richieste di perdono, scomuniche e amenità varie, ammannite dalla De Filippi o da Barbara D’Urso, da Federica Sciarelli o da Salvo Sottile (l’orecchiuto giornalista di Quarto Grado), ma anche dai plastici di Vespa (sei mesi di trasmissioni con la storia di Cogne) o dagli approfondimenti di Matrix o Terra! Non si salva prorpio nessuno, tutti a girare i coltelli nelle piaghe purulente di una socità drogata di media ed affamata sempre di più di storiacce grandguignolesche. Più sangue più ascolto, più pubblicità più danaro, la scatola degli orrori fa vincere il truculento sulle storie edificanti. Mi piacerebbe sapere quale share ha avuto in Italia il recupero dei 33 minatori cileni rispetto alla storia di Sarah: sicuramente inferiore e di molto.
L’apoteosi del Grande Fratello (quello vero, con le telecamere ormai dappertutto ed è solo l’inizio) c’è stata con il delitto del “diretto in diretta” sferrato alla povera infermiera rumena da un periferico bulletto romano che probabilmente, circondato ed anestetizzato dalla violenza virtuale massiccia di videogame-cinema-tv, avrà pensato che un pugno in faccia non faccia poi così male, abituato com’è a misurarsi con personaggi finti che, dopo un goccio di vita si rialzano da terra. E Maricica Hahaianu è morta ammazzata.
Le difese a tutto ciò sono molto labili: “Ci limitiamo a raccontare quello che accade” – dicono i giornalisti – “Se le cose non succedono noi non le raccontiamo”
 - That’s the press, baby - “E’ la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente, niente!” Ripeteva urlando al telefono ne “L’ultima minaccia” Bogart - Ed Hutchinson - mentre le rotative del suo giornale sferraggliavano  implacabili pubblicando la notizia che avrebbe inchiodato l’assassino.

mercoledì 13 ottobre 2010

Premio Nobel allo Sport ieri al Marassi di Genova

Siamo lieti di dare l'annuncio per la nascita di una nuova categoria, inserita nel ranking del prestigioso premio svedese: il Premio Nobel per meriti sportivi.
Come tutti sanno Alfred Nobel, inventore della dinamite, fu tormentato dalle possibili applicazioni belliche e distruttive delle sue scoperte e quindi istituì il premio che rese immortale il suo nome per stimolare, con la premiazione, la ricerca nei campi che illuminano e aiutano l'Uomo a vivere degnamente.
Mancava, tra questi, proprio il "Nobel allo Sport". 
Il premio è stato dato, per la prima volta nel mondo, ieri 12 ottobre a Genova, in occasione della partita Italia-Serbia, a questo benefattore dell'Umanità, sig. Ivan Bogdanov detto il Bosniaco (al centro nella foto) che viene accompagnato sul palco  per ricevere l'ambito riconoscimento. Nella menzione si dice anche che si è "distinto - oltretutto - per la sua signorilità, eleganza e stile".  Viene accompagnato a braccia sul palco per via dell'emozione che gli fa tremare le gambe. Grazie, Ivan, a nome di tutta l'Umanità!

lunedì 11 ottobre 2010

Innocenti bugie (o colpevoli verità?)

Non vado spesso al cinema, anche se ho una forte bulimia da pellicola ma, considerata la pigrizia di cui sono portatore e neanche tanto sano, mi soddisfo il più delle volte con il  salottone casalingo di Sky... Vuoi mettere non dover faticare a scegliere il film, uscire, prendere la macchina, trovare parcheggio, pagare il biglietto e alla fine, magari, rimanere  pure deluso dopo la faticaccia del rituale percorso ad  ostacoli? Meglio e più facile cambiare canale sulla tele, direbbe M.eur De Lapalisse e, a cercare bene, rischi di trovare pure qualche vecchio film b&w in programmazione.
Ma vuoi mettere, invece, se sei preparato al peggio e sai già che andrai a vedere una stronzata sesquipedale costata molti milioni di dollari dove i protagonisti sono due star di Hollywood (Cameron Diaz e Tom Cruise, belli e maturi) in una action-comedy classica, deja vu, tipo True Lies di Swarzeneggeriana (!) memoria? E il plot di quel film ti era pure piaciuto... Bè, ho tirato la monetina in aria, è uscito testa e ci sono andato, e il film, tolta una soporifera parte centrale, scoppietta divertendo e olezza di tutti i dollaroni spesi in scene vertiginose, tra 007 e Rambo ma, a differenza di questi, che un pochino di realtà reale (non virtuale) ce l'hanno, corre unicamente  sulla lama affilata di un videogame (aiutooo) e, come  accade all'interno dei giochini, i protagonisti non mangiano mai, non dormono mai, non vanno mai in bagno, non gli puzzano le ascelle (si arguisce ) e non si sa dove vadano a ricaricare la "vita" per andare avanti (e gliene serve pure tanta per la fatica che fanno). Passano attraverso muraglie di pallottole, pistolettate e bazookate,  incidenti aerei e di auto senza mai un graffio  e con i capelli shampati di fresco, e si risvegliano dopo giorni di sonno drogato perfetti, truccati e sbarbati, c.v.d.
Se il regista, James Mangold (suona sinistramente come "manigoldo" ma invece è "l'uomo d'oro" nomen omen che ha diretto il remake di "Quel treno per Yuma" e "Walk the line") avesse cercato appunto la complicità del videogioco lo si può, per due ore badaben, pure perdonare, altrimenti è da ricovero urgente al primo Centro di Igiene Mentale di Santa Monica (là sarà Igienical Brain Center, forse).
Quindi un giocattolone che avrei visto volentieri su Sky tra un anno. Chissà che m' è preso l'altra sera, mannaggia la monetina... Buona visione, se vi va.

venerdì 8 ottobre 2010

L'uovo avvelenatissimo del Cav.Serpente

Pubblico questo "uovo" veramente molto avvelenato del nostro odiato Cav. Serpente a mio rischio e pericolo.  Stavolta se la prende con miti e  icone che la metà bastava e, leggete leggete, era insieme a Sua Santità... ma chi avete capito...il Papa!

ABBIAMO TROVATO LA SOLUZIONE

     Venerdì 1 ottobre 2010 alle 18 precise nella Sala Nervi, in Vaticano, abbiamo trovato la soluzione all’implacabile abitudine al ritardo di qualunque manifestazione a Roma: basta invitare il papa! Il concerto dell’orchestra di Santa Cecilia, con lui ospite d’onore, previsto per le diciotto, alle diciotto e un millisecondo era già in piena esecuzione. Tutti seduti da un quarto d’ora, niente tossi né saluti.
     Sua Santità era arrivato sul red carpet un paio di minuti prima, un po’ perché di sicuro è una persona educata, e forse un po’ perché è tedesco.
     Un evento di gran lusso. Tutti ben vestiti, e a noi piace; cameramen e fotografi in giacca e cravatta, gli orchestrali in frac, così come gli inservienti. C’erano perfino dei giovanottoni in brache e giustacuore a grandi righe colorate, con elmo e alabarda. Un programma di sala patinato con i nomi di tutti gli elementi dell’orchestra e del coro, le prime parti indicate da asterischi, malauguratamente identici a quelli che segnalano i gamberoni surgelati nei ristoranti di pesce.
     Ottima esecuzione (lo sappiamo che l’orchestra è buona) di un programma medio. In testa Haydn, Sinfonia “La sorpresa”, Ok. In coda Beethoven con la Fantasia Corale, un pezzo giustamente poco eseguito, di una pesantezza proprio tedesca (ah, Mozart, dove sei?).
     E in mezzo “Cecilia, Vergine Romana” di Arvo Paart. Ora, Paart è un minimalista, si sa, ma cosa vuol dire essere un musicista minimalista? Dopo l’ascolto ci verrebbe da insinuare che si tratta di una scusa per scrivere meno note di quelle che servirebbero, e lasciarle a manciate qua e là, con l’indicazione di ripeterle spesso. Il problema è che queste poche note dovevano essere gli scarti perché il pezzo è risultato noiosissimo. L’esecuzione forse era buona come le altre, ma come si fa a dirlo?
     Ora che ci siamo espressi su Paart, mettiamo un momento in frigo Allevi per cucinarlo in seguito (Einaudi pensiamo di lasciarlo definitivamente nel freezer, chissà che condensandosi con il gelo non acquisti un po’ di consistenza), e scendiamo la china della nostra rovina confessando quanto ci annoiavano in un’epoca in cui non si poteva neanche pensare di metterli in dubbio, alcuni altri miti.
     Da Bob Marley con il suo reggae tutto uguale: una volta sentito il primo pezzo, gli altri non servivano più, a Joan Baez (ecco, la Baez, oltre a cantare noiosa, aveva quella voce di testa, così priva di impurità da non avere nessun carattere, nessun timbro, come trovarsi a buttar giù un bicchiere di acqua normale quando ti aspetti un prosecco), a Giovanna Marini con la sua sempiterna ripetizione di belle ciao e mondine al lavoro, e l’occasionale aggravante del fischio.
     E Piazzolla triste y fatal, e Milva sempre troppo strehlerata, e il venerabile Guccini, e il povero Rino Gaetano, la cui principale abilità, che ne ha fatto un’icona, è stata di morire presto, e il mediocre e sopravvalutato Ciampi, sempre ubriaco per i bar di Roma, attaccabrighe, rissoso, antipaticissimo.
     Uffa, ci siamo sfogati!

     Siamo curiosi di sapere quanti fra i nostri lettori sono d’accordo, e soprattutto quanti, e ormai bisogna cercarli nella terza età, sarebbero stati nascostamente d’accordo anche allora, quando non si poteva proprio. Adesso che la tecnologia lo permette, ci aspettiamo da loro un commento di complicità sul blog.
     O anche una scarica di insulti, a piacere.

L'omossessualità svelata di Tiziano Ferro

Sta facendo parlare molto il coming out (chissà perché fa più “fico” dirlo in inglese…) di Tiziano Ferro che, nel suo libro–verità di prossima uscita, ammette la propria omosessualità, non senza manifestare sentimenti di profondo dolore. Racconta di una vita di privazioni, sofferenze, sotterfugi, tanto da aver deciso, in un momento di maggiore sconforto, di smettere di cantare. Pensava anche che la sua diversità non gli - desse diritto di stare al mondo -. Poi è arrivato un confronto apertis verbis con suo padre che lo aiuta a disvelarsi, dicendogli di - rispettarsi perché lui è un essere speciale –.
 E bravo papà Ferro, non sei come quei padri che si inorgogliscono per il numero di ‘prede’ femminili che i figli maschi portano a casa, o che magari costringono le figlie, spesso con la violenza, a fare vita da suora o a sposare chi dicono loro.
Non sto parlando di due secoli fa: è storia recente, a Pordenone, l’uccisione efferata da parte di un musulmano di sua figlia 18enne, che aveva iniziato una relazione con un ragazzo di 13 anni più grande e pure cattolico. Storiacce dove c’entra sempre il sesso e il peccato e la cultura medievale (estesa).
Esiste ancora, in questo strano e retrodatato paese, il pensiero cattolico dominante, duro da smantellare, che ancora detta gli orientamenti sessuali, crea fobie e stigmatizza la diversità, e tutto questo non ostante i reiterati scandali dei preti pedofili. Ma perché non guardano in casa loro?
 C’è poca o nulla tolleranza, quindi, e facilmente si può capire il dolore di Tiziano Ferro che, racconta, si è addirittura rivolto e ‘confessato’ alla grande penalista Giulia Bongiorno, come se  solo un avvocato potesse togliergli il senso di colpa che la sua omosessualità gli aveva procurato.
Bene ha fatto a liberarsi del ‘fardello’ e c’è da augurarsi che altri lo facciano serenamente,   e che le nostre personali scelte sessuali non debbano essere continuo motivo di scandalo o di pettegolezzo, come si usa fare troppo spesso.
Ma il pettegolezzo paga, lo sappiamo, ed anche tanto, ma poco viene ridicolizzato come in  una scena di Borotalco, lo spassosissimo film di Verdone del 1982 con Eleonora Giorgi, dove Carlo, anima semplice, si spaccia per il suo idolo Manuel Fantoni, uomo di mondo, e per farsi grande racconta ad alcuni amici dell’omosessualità vera o presunta di attori famosi. La battuta forte è di uno di questi che gli chiede: “Ma davvero John Wayne era frocio?” E Verdone annuisce con gli occhi chiusi mentre la Giorgi dice che lei lo sapeva già, perché - si vedeva da come scendeva da cavallo, con quella gambetta così… -
 Ad ogni buon conto, speriamo che questa uscita liberatoria di Tiziano Ferro non gli esaurisca la vena creativa, rischio che si corre in questi casi. C’è da augurarsi, lo dico a favore dei detrattori del cantante, che alla fine possa scrivere canzoni migliori.

mercoledì 6 ottobre 2010

Collaboro con Globalist

Amici che avete la bontà di leggermi ogni tanto, vi volevo avvisare che dal 1 ottobre è iniziata la mia collaborazione con questa bella testata (non quella di Zidane) giornalistica sul web. E' un  network molto interessante, Globalist, e annovera grandi firme come quella quella del suo fondatore, Gianni Cipriani, che ha un cursus honorum di tutto rispetto (Unità, gruppo Epolis) ed è uno dei massimi esperti di terrorismo in Italia, quindi consulente della Commissione parlamentare stragi e Commissione Mitrohkin, poi Giancarlo Governi, Ennio Remondino, Gianni Minà, Silvia Garambois, Lucia Puzzi e tanti altri giornalisti di prestigio. Il fatto che Globalist raccolga anche i miei scritti forse lo scredita un pò, ma understatement a parte, vi esorto a frequentarmi e a leggermi. Un saluto a tutti
http://www.giannicipriani.eu