mercoledì 29 luglio 2015

Allevi, il "nuovo Mozart italiano" e l'inno della serie A

Allevi compone l'inno della serie A e il web lo prende in giro

La rete si scatena in commenti e prese in giro nei confronti del musicista marchigiano, che si definì il Mozart italiano 

    
    Giovanni Allevi



Il 27 luglio, contestualmente al calendario degli incontri della prossima stagione di serie A, è stato presentato quello che sarà il nuovo inno della Lega Italiana di calcio, e che sarà eseguito prima di ogni partita, non si sa ancora se al posto degli inni ufficiali. Il brano, che si chiama “O Generosa”, è stato commissionato a Giovanni Allevi, il furetto “naif “del pianoforte, che ha usato un'orchestra da camera ed un coro polifonico per un'esecuzione che assomiglia molto, in un tentativo secondo noi mal riuscito di imitare l'atmosfera del più conosciuto “Champions League Theme”, inno della Champion.
Allevi ha usato anche un testo misto tra latino e inglese, alternando le due lingue che nel finale si intrecciano, in un tripudio di banalità. "Custodi animum tuum / ut a corruptione abstineat/ Gloria, I say to you, Alleluia / winner you will be in your heart Gloria". La rete, manco a dirlo, si è scatenata in commenti e prese in giro nei confronti del musicista marchigiano, anche perchè il personaggio Allevi, con le sue uscite a dir poco esilaranti (“sono il Mozart italiano” su tutte), presta il fianco con grande facilità all'ironia generale.
L'idea, poi, che gli inni ufficiali delle squadre del cuore verranno probabilmente penalizzati, ha aumentato il dissapore tra i tifosi che non danno tregua al “sempliciotto” Allevi. Dice il comico e appassionato di calcio Gene Gnocchi: "L'inno ha messo d'accordo tutte le società: distribuiranno tappi per le orecchie all'ingresso degli stadi.” C'è anche chi avverte: "Qualcuno l'ha detto che "O Generosa" di Allevi farà aumentare la violenza negli stadi". C'è da crederlo.

La povera ragazzina di Avetrana ed altri "spettri" televisivi

News

Sarah Scazzi, l'atrocità mediatica e l'anestesia dei sentimenti

Queste tragedie ci fanno riflettere sulla nostra morbosità di fronte ai casi di cronaca nera che la televisione sfrutta per fare ascolti. [Piero Montanari]

PIERO MONTANARI
mercoledì 29 luglio 2015 10:13


di Piero Montanari
Ci sono voluti tre giorni di camera di consiglio, e quasi ottanta ore per decidere l'appello sull'omicidio della piccola Sarah Scazzi. Come sappiamo, la Corte d'Assise di Taranto ha confermato l'ergastolo del primo grado per Cosima Serrano e sua figlia Sabrina Misseri, zia e cugina di Sarah, e otto anni a Michele Misseri per soppressione di cadavere, avendo lo "zio di Avetrana" fatto ritrovare dopo 42 giorni il corpo della sedicenne in un pozzo, dentro il quale lui stesso l'aveva occultata.
Sarah Scazzi, strangolata dai suoi "affettuosi parenti stretti"e poi gettata in un pozzo come uno straccio per lavare in terra, un orrendo delitto assurto agli onori della cronaca nera non senza che la stessa indulgesse sui fatti e li spettacolarizzasse in maniera esasperante e talvolta odiosa. 
Siamo certi che la stagione televisiva riaprirà con programmi che tratteranno i casi di Sarah Scazzi, quello di Padre Graziano, di Roberta Ragusa, di Yara Gambirasi, di Melania Rea, e di tutti i tristissimi fatti di cronaca nera risolti e irrisolti, in una macabra sfilata di personaggi spettrali ormai entrati come incubi nelle nostre vite.
Storie come queste evocano dentro gli animi di chi assiste da spettatore, i fantasmi più neri e i peggiori sentimenti di cuorisità perversa, ma anche di rappresaglia e odio, per gli autori di fatti così agghiaccianti. 
Spesso sentiamo invocare da molti la pena di morte, che per altro nel nostro paese sappiamo non praticata più da molto tempo. Invocare la pena di morte per questi atroci delitti non serve, se non a canalizzare malamente la rabbia e l'impotenza che ognuno di noi sente crescere dentro, momenti difficili nei quali il nostro stesso senso di umanità viene messo a dura prova.
Ma fare una riflessione sull'anestesia dei sentimenti davanti all'atrocità di fatti come questi che la televisione ci ammannisce quotidianamente, perchè le storie efferate fanno ascolto, è obbligo morale di tutti noi, che siamo figli e genitori, padri e mariti. 
Interrogarci su questo sonno della ragione è esercizio che tutti noi dovremmo compiere più spesso, al di là della curiosità un po' patologica che ci pervade e quasi ci obbliga ad assistere impotenti al racconto di queste storie, preferibilmente senza attendere drammatiche vicende di cronaca che non possiamo, come spesso facciamo, ricondurre banalmente a meri atti dettati della follia umana.

giovedì 23 luglio 2015

I personaggi famosi odiano i selfie, lo so per certo.

Higuain è un antipatico, ma i selfie hanno rotto

La reazione del Pipita è stata sopra le righe. Tuttavia questa moda è ossessiva e invadente. [Piero Montanari] 

PIERO MONTANARI
mercoledì 22 luglio 2015 21:11


di Piero Montanari

L'incidente occorso al calciatore del Napoli Gonzalo Higuain, in vacanza ad Ibiza, che ha sfiorato una rissa fuori da un locale solo per essersi rifiutato di posare per un selfie di un tifoso, riporta a galla il problema serissimo degli scatti fotografici ricordo ai quali, come un'inevitabile tortura senza soluzione di continuità, sono sottoposti i personaggi famosi.

Artisti, calciatori, attori, cantanti, politici di qualsiasi corrente, persino delinquenti abituali o assassini, ma anche mafiosi, camorristi, disturbatori e presenzialisti della tv, o note mignotte, nessuno si salva dai "selfisti" con lo smartphone spianato e il sorriso stampato sulle facce da ebeti, a non dare scampo e tregua a nessuno.

Non serve essere il Re delle Cronache, basta solo qualche apparizione televisiva, uno scandaletto, qualche parolaccia indirizzata al potente di turno, un po' di notorietà anche usurpata, per diventare delle vittime dello scattista compulsivo di turno.

Tempo fa incontrai in una circostanza triste l'amico Renzo Arbore, il quale mi raccontò la sua preoccupazione per questa mania ormai dilagante di farsi la foto col personaggio famoso: "La fama e il successo - mi disse sinceramente - mi piacciono e sono ben contento di avere questi che considero certamente dei privilegi, ma ti giuro, non posso girare per la strada che subito, come cavallette, arrivano persone a frotte a farsi il selfie con me, e ti assicuro che questo è il problema che tutti i personaggi noti mi dicono di soffrire!"

E infatti, di lì ad un attimo, almeno tre o quattro persone si sono avvicinate col telefonino in mano per fotografarsi con lui e dopo poco il capannello era diventato ben nutrito, per altro ignorando totalmente la mia presenza e lasciandomi spettatore, anche forse un po' deluso, dell'assalto al selfie con Arbore.

Ma tant'è, la fama ha i suoi grandi vantaggi e il suo prezzo da pagare, compresa una vita privata che privata non potrà mai essere del tutto, e una montagna di scocciature come questa, il selfie, tra la più insopportabili per Renzo Arbore e compagnia famosa.

Formulando questo pensierino tra lo sconsolato e il banaletto, salutai quella volta "l'affollato" Renzo e mi avviai in solitario verso l'autobus, con la consapevolezza (e la piacevolezza) che nessuno mi avrebbe chiesto uno di quei maledetti selfie.

mercoledì 1 luglio 2015

La morte di Chris Squire, bassista e fondatore degli Yes

Addio a Chris Squire, il gigante del basso degli Yes

E' morto per una grave forma di leucemia Chris Squire, il mitico bassista e fondatore, con Jon Anderson, degli Yes. [Piero Montanari]

PIERO MONTANARI
domenica 28 giugno 2015 18:51

Chris Squire


Chris Squire

di Piero Montanari

Chris era nato a Londra il 4 marzo del 1948 e a Londra, vent'anni dopo, incontra in un bar Jon Anderson che già cantava con un suo gruppo, The Warriors, e gli chiede di entrare a far parte della sua formazione, i Mabel Greer's Toyshop. I due iniziano a scrivere pezzi insieme e alcuni mesi dopo ingaggiano il chitarrista Peter Banks, il tastierista Tony Kaye e, in seguito, il batterista Billy Bruford. Ad agosto del 1968 gli Yes così formati, fanno il loro primo concerto in un campeggio giovanile presso il villaggio East Mersea, sull'isola di Mersea nell'Essex.

Il gruppo, che all'epoca faceva soprattutto cover di altri artisti di maggior successo, esplose poi nei primi anni '70 con due lp considerati pietre miliari del rock progressivo, Fragile e Close to the Edge, con l'avvento del nuovo tastierista, il virtuoso Rick Wakeman, ad occupare il posto lasciato vacante da Tony Kaye.

La storia degli Yes è lunga, perchè arriva fino ad oggi, articolata e ricca di cambiamenti epocali: negli anni molti musicisti importanti si sono avvicendati nel gruppo, che ha subito profonde trasformazioni, fino a chiamarsi addirittura con il solo acronimo dei suoi elementi, ABWH e cioè, Anderson, Bruford, Wakeman e Howe.

Nel 2007, dopo la reunion per i quarant'anni della Band e il tour celebrativo che ne seguì, gli Yes continuarono, come un bus, a far salire e scendere musicisti sempre differenti, fino ad arrivare al loro ultimo album in studio, Heaven & Hearth, che comprende Jon Davison e Steve Howe, voci e chitarre, Alan White batteria e percussioni, Geoff Downes tastiera e computer programming, e Chris Squire al basso e alla voce.

Si spegne così per sempre a Phoenix, in Arizona, la voce del magnifico basso Rickenbacker 4001 che Chris suonava splendidamente, con una tecnica molto personale e l'utilizzo di effetti elettronici come overdrive, wah-wah, phaser, distorsori, in una alchimia psichedelica totale che influenzò anche l'immenso Jaco Pastorius, e col quale Chris generava linee di basso sempre nuove ed innovative, da quel grande musicista che era.