mercoledì 24 settembre 2014

Jimi Hendrix chitarrista mediocre?


André Benjamin interpreta Jimi Hendrix
André Benjamin interpreta Jimi Hendrix

di Piero Montanari

(Questo articolo pubblicato come gli altri da Globalist, ha suscitato un incredibile vespaio e, a parte gli insulti che mi sono piovuti addosso, comprese alcune difese di chitarristi professionisti, ha suscitato anche un interessante dibattito su Hendrix, la sua musica, il suo mito. Le persone, una volta stabilito che uno come Jimi non debba mai essere messo  in discussione, non sono facilmente disposte nè a valutarlo serenamente, nè a trovare in lui difetti. Il mito è il mito e si sa, chi tocca i miti... muore).

Siamo in attesa di vedere l'annunciato film sul chitarrista rock Jimi Hendrix, morto 44 anni fa, soffocato da un conato del suo vomito scaturito da un cocktail micidiale di droga e alcol. Il film si chiama: "Jimi, all is by my side", con Imogen Poots, Andrè Benjamin, Hayley Atwell, Ruth Negga, Andrew Buckley, Oliver Bennet, Tom Dule, previsto nelle sale italiane il 18 settembre.

 
Scritto e diretto dal premio Oscar John Ridley, racconta un periodo nella breve vita di quello che molti considerano un importante innovatore del suo strumento, avendo mescolato in maniera empirica generi musicali diversi, e che la rivista Rolling Stone definì nel 2011 come "il più grande chitarrista della storia della musica".

Andiamoci piano, per favore, perché di chitarristi più bravi di lui, al momento, me ne vengono in mente almeno una cinquantina, a partire dall'immenso Andres Segovia, per finire a Clapton passando per Santana, o Jimmy Page, o Steve Ray Vaughan o Charlie Christian, solo per citarne pochi.

Jimi Hendrix è stato un chitarrista "maudì", impugnava il suo strumento come fosse un'arma, contro tutto quello che c'era da far fuori per un nero incazzato come lo era lui, in quel momento strategico della storia sociopolitica americana, con la contestazione giovanile in atto, che aveva assunto toni rivoluzionari anche violenti, dai campus universitari, fino ad invadere culturalmente l'Europa e gran parte del mondo occidentale.

Hendrix interpretava perfettamente quello spirito di ribellione, anche con atteggiamenti fortemente istrionici. Si ricorda l'esordio al Festival di Monterey del 1967, dove diede fuoco alla sua Fender Stratocaster bianca, col pubblico sbalordito e urlante, o alla storica performance di Woodstock del 1969, durante la quale dissacrò l'inno nazionale statunitense, facendone un'interpretazione psichedelica e distorta.

Appartenente al tristemente noto "Club J 27", che annovera artisti famosi morti tragicamente prima dei 27 anni con in comune anche la lettera "J" nel loro nome (Brian Jones, Janis Joplin, Jim Morrison), Jimi suonava la chitarra anche con i denti, in una sorta di cannibalismo musicale che aveva un forte impatto emotivo col pubblico del tempo, che non aspettava altro dai loro idoli se non che essi rappresentassero, con atteggiamenti estremi, l'idea rivoluzionaria che si stava affermando non solo nella musica.

Non faccio fatica a sostenere, anche se so bene che mi tirerò addosso degli strali, che a Jimi Hendrix ho preferito altri musicisti, magari figure meno iconiche del chitarrista di Seattle, ma di certo strumentisti e virtuosi che lo superavano in bravura, almeno sulla chitarra.

Si fa invece troppo in fretta a creare miti, soprattutto se scompaiono giovani come Jimi, e troppo in fretta a metterli sul piedistallo più alto di un Olimpo che non finirà mai di essere scalato del tutto

La Lazio e la musica piangono Aldo Donati


di Piero Montanari

Muore a 65 anni Aldo Donati, compositore, cantante, attore, ma soprattutto autore di "So già du' ore" famoso per essere l'inno della SS Lazio, squadra per la quale tifava da sempre con grande passione.
 


Aldo era malato da tempo, da quel maledetto 4 novembre 2009, quando un aneurisma gli esplode nella testa e lo manda in coma. In tutti questi anni si era cercato disperatamente di curarlo, ma l'episodio emorragico fu davvero devastante e a nulla sono servite le cure dei medici, di sua moglie Velia e dei suoi figli che gli sono stati sempre amorevolmente accanto.

Conobbi e lavorai con Aldo nel meraviglioso periodo romano dell'R.C.A., etichetta per la quale cantava e scriveva, e quando lui era uno dei componenti del gruppo Schola Cantorum con cui incise una serie di dischi e partecipò anche ad alcune edizioni del Festival di Sanremo tra la fine degli anni '70 e gli '80.

Ebbe un notevole successo personale quando venne invitato a far parte del gruppo di Rugantino di Garinei e Giovannini al Sistina, commedia musicale che interpretò a fianco di Enrico Montesano, Alida Chelli, Aldo Fabrizi e Bice Valori, in un'edizione tra le più belle e indimenticabili.

Aldo aveva una voce roca, personalissima e di forte impatto emotivo, tanto che era in grado di passare tranquillamente dalla musica leggera al blues, e soprattutto a repertori di R&B per le cui interpretazioni veniva accostato ai più famosi cantanti neri dell'epoca, quali Othis Redding, Little Richard o Ray Charles.

Ma il suo più grande successo come autore glielo lancia Gianni Morandi, per il quale scrive la famosissima Canzoni stonate, che ha il pregio di aver ridato vita artistica al cantante di Monghidoro, all'epoca dimenticato da tutti. Canzoni stonate, ormai un importante evergreen, viene incisa da artisti di fama internazionale, quali Bocelli o Stewie Wonder.

Di Aldo si ricordano brani scritti per molti altri grandi artisti, quali Iva Zanicchi, Sylvie Vartan, Gianni Nazzaro, Rettore e perfino Mina, per la quale compone alcuni bellissimi pezzi, tra cui Mio dio chi, con il testo di Pasquale Panella.

Saperlo così malato era per tutti noi amici e collaboratori un vero strazio, perché in realtà Aldo era già scomparso quel maledetto 4 novembre di cinque anni fa, quando il male gli cancellò praticamente la memoria. Ed è in momenti come questi che capisci quanto la morte, a volte e per quanto orribile, possa essere caritatevole. 
Ciao caro Aldo