mercoledì 31 luglio 2013

Rino Gaetano, quando il mito non muore mai

di Piero Montanari

Riquadro 119, piano terra, cappella quinta, loculo 10 del cimitero Verano di Roma. È la casa dove l'amico Rino Gaetano, straordinario cantautore col quale suonavo, nato a Crotone il 29 ottobre del 1950, riposa da quel tragico 2 giugno del 1981, dopo che, a due passi dalla sua casa di via Nomentana, finì la sua breve luminosissima vita contro un camion, in una afosa notte romana.

Chi ha visitato la sua tomba - e sono in tanti oggi - racconta che è piena di regali, di fiori freschi ogni giorno, una tomba che sembra la stanzetta di un adolescente. E non manca la scritta simbolica: «Sognare la realtà, vivere un sogno, cantare per non vivere niente».

Ebbene, la "stanzetta" di Rino qualcuno ha pensato bene di profanarla, probabilmente nella notte tra sabato e domenica, e portare via un ukulele, la piccola chitarra con la quale Rino si esibiva spesso, fatta di una pietra lucente, l'afyon, e commissionata da Anna Gaetano, sorella di Rino, ad un artista che la scolpì per cinquecentomila delle vecchie lire.

Leopoldo Lombardi, presidente dell'Afi e avvocato da sempre di Rino e di tanti artisti, sostiene l'ipotesi più logica, mentre si svolgono le indagini. E cioè che a saccheggiare la tomba del cantautore sia stato non un ammiratore feticista, bensì un estorsore, come nel caso grave di Mike Bongiorno e che, magari, vuole vendere il "cimelio" su internet o addirittura chiedere una sorta di riscatto alla sorella Anna.

Il mito di Rino Gaetano è cresciuto a dismisura negli ultimi trent'anni, vuoi per le indiscusse qualità artistiche del cantautore crotonese con le sue precognizioni musicali, vuoi perchè la morte prematura ci riconsegna, attraverso il tempo e con una sorta di mutazione straordinaria, personaggi di successo come miti. È accaduto per tanti artisti di valore morti prematuramente: Jim Morrison, Amy Winehouse, lo stesso Elvis Presley o James Dean, o addirittura Marilyn, dei quali il mondo non è mai riuscito a fare a meno.

Lo stesso mito che fa sorgere ogni giorno l'amore di tanti per Rino Gaetano, e che magari spinge un povero demente o un furbastro da quattro soldi, a rubare dalla sua "stanzetta" dove riposa da più di trent'anni, la sua fredda chitarra di pietra luminosa.

domenica 21 luglio 2013

Addio a De Gemini, il genio dell'armonica


di Piero Montanari
E morto a Roma dopo una lunga malattia Franco De Gemini, considerato da tutti uno dei più grandi suonatori di armonica a bocca nel mondo. Aveva 84 anni ed era, oltretutto, un produttore discografico di rilievo, e nella sua edizione, la Beat Records, annoverava centinaia di colonne sonore, molte delle quali scritte da Ennio Morricone, il suo mentore, che lo chiamò per suonare le sue più belle e memorabili musiche da film: da "Per un pugno di dollari" a "Il buono il brutto e il cattivo", e il capolavoro già citato "C'era una volta il west".

Anche il grande Leonard Bernstein lo chiamò per l'indimenticabile colonna sonora di "West Sider Story" e Franco, puntualmente, piazzò la sua bella armonica nella colonna e nella storia di questo magnifico film.

Avevo lavorato con Franco De Gemini e lui era anche il mio editore di alcuni film dei quali avevo fatto la musica. Spesso, nel suo ufficio della Beat Records, alla Balduina, una zona di Roma vicino a Monte Mario, mi intratteneva suonandomi qualche vecchio e famoso brano con una delle sue tante armoniche che modificava lui stesso, per renderle consone alle sue molteplici esigenze artistiche.

A differenza di altri grandissimi armonicisti come il belga, 'Toots' Thielemans o Stevie Wonder, Franco non era un improvvisatore, un jazzista per intenderci. Lui aveva bisogno della partitura musicale, delle note scritte, perchè non era uno che "svisava", che improvvisava, appunto.
Ma leggendo quelle note, era capace di tirare fuori dallo strumento un suono unico, inimitabile, celestiale, ricco di pathos e di sensibilità, che ti sorprendeva ogni volta che lo ascoltavi. Quel suono che fece di Franco De Gemini un personaggio famosissimo nel mondo, soprattutto dopo la riscoperta, da parte di una enorme moltitudine di appassionati, dei film di Sergio Leone e delle sue colonne sonore. Franco era davvero famoso in tutto il mondo, e dove andava veniva accolto come una star.

Era un omone grande e grosso, burbero e buono, e sempre incline ad accoglierti con una battuta di spirito e una risata, quando andavi a trovarlo in ufficio, e accanto a lui la sua armonica che speravi tirasse fuori, prima o poi, per sentirgli fare ancora quel vibratino che solo lui sapeva fare, con lo strumento che spariva nascosto dalle sue manone a forma di coppa.

Cortese e gentile, con una sensibilità non comune che strideva con la sua gigantesca figura, Franco è stato un grande musicista ed un amico prezioso.
Ora è facile immaginarlo suonare la sua armonica tra gli angeli.

martedì 16 luglio 2013

Addio a Tonino Accolla, la voce di Eddy Murphy e Homer Simpson


 di Piero Montanari 

Ieri è morto a 64 anni all'ospedale Gemelli di Roma, dove era ricoverato in seguito ad una grave malattia, l'attore siracusano Tonino Accolla.
Era stata la voce italiana dei più grandi attori del cinema americano: da Tom Hanks a Mickey Rourke, da Hugh Grant a Jim Carrey, ma anche di Ben Stiller, Tim Curry e il cattivo Gary Oldman, quello di 'Léon' e de 'Il quinto elemento', nonché del personaggio Timòn nei film d'animazione della serie 'Il Re Leone' e Mike nel film 'Monsters & Co'.

Il successo popolare di Tonino gli venne però dall'aver doppiato Eddie Murphy in quasi tutti i film, e per aver regalato al comico afroamericano la sua famosa ed incontenibile risata col "decollo", un marchio che resterà indelebile fino alla sostituzione di Tonino con Sandro Acerbo, nel 2011.

Ma fu doppiando Homer Simpson nella versione italiana della famosa serie di cartoni americana, che Accolla, come fosse una grande star, raggiunse il suo massimo di popolarità, testimoniato ogni giorno dai tanti appassionati del cartone.
Per aver dato la voce a Kenneth Branagh in 'Enrico V', Accolla vinse anche il Nastro d'argento per il miglior doppiaggio eseguito nel 1991, ma fu anche direttore di doppiaggio di kolossal come 'Titanic' e 'Braveheart' e dei più grandi successi cinematografici degli ultimi 30 anni.

Conoscevo molto bene Tonino perchè alcuni anni fa venne nel mio studio a dirigere e doppiare 'Il Dottor Dolittle', il primo della fortunata serie di film con Eddie Murphy. In quel periodo c'era una serrata per uno sciopero degli studi a Roma e la Fox, società distributrice della pellicola, doveva assolutamente finire il film, già annunciato in uscita nei cinema, col rischio di brutta figura e di gettare via parecchi soldi di pubblicità. Quindi scelsero il mio studio di registrazione come ripiego, l'allestirono all'uopo, e ci stettero per un paio di settimane, facendomi "prestare" persino la voce a uno dei personaggi.

Ebbi, così, l'occasione di veder al lavoro il bravissimo Tonino, e capire che, prima di essere un professionista del doppiaggio, era davvero un grande attore, uno di razza, con una sensibilità ed un'intelligenza non normali, un geniaccio vero, con una forte personalità e una straordinaria contezza di sé che lo faceva apparire talvolta ostile agli altri, con un carattere insopportabile a detta di molti, ma che alla fine poi riusciva a "cavare" fuori dagli attori che dirigeva tutte le capacità, anche le più nascoste, che servivano a dare corpo all'idea che si era costruita nella testa del lavoro, fossero film da doppiare e dirigere o piece teatrali.
E c'era da starne certi che l'idea che Tonino si era fatta era quella giusta.

sabato 6 luglio 2013

In ricordo di Grazia Porcelli, vocalist dei Protagonisti


di Piero Montanari 
Oggi voglio ricordare un gruppo vocale di Milano, i Protagonisti, attivi sulla scena musicale dalla fine degli anni '60 e inizio dei '70. I componenti del quartetto vocale sono Oscar Avogadro, Luciano Bertagnoli, Mariuccia Sgroi e Grazia Porcelli (la prima a destra nella foto), che nell'ultimo periodo prende il posto di Raffaella Peruzzi. Si mettono in luce partecipando alla Caravella dei successi di Bari nel 1969 con Noi ci amiamo, che ottiene un discreto successo; incidono poi Questo ballo, che contiene sul retro una cover di una canzone di Bob DylanWigwam (tratta dall'album Self Portrait). Partecipano ad Un disco per l'estate 1970 con la canzone Un'avventura in più, che non supera la fase iniziale. Passano poi alla Dischi Ricordi e presentano al Festival di Sanremo 1971 il brano Andata e ritorno, che non entra in finale. Dopo lo scioglimento del gruppo Oscar Avogadro diventa un affermato paroliere e la Perruzzi ha una carriera da solista per qualche anno.
Bene, questa è la loro "piccola storia" musicale. Personalmente ho un ricordo bellissimo di Grazia Porcelli che per un periodo, tanti anni fa, quando suonavo in giro per l'Italia con Romano Mussolini, è stata mia amica e mi seguiva nei tour. Era una ragazza giovane e piena di vita, ricca di talento musicale e di ironia e le ho voluto molto bene. A lei devo alcune decisioni che riguardavano la mia storia personale  di quel momento (ero un ragazzino, nel 1971 e anche lei aveva 18 anni) e Grazia mi fece riflettere su molte cose che riguardavano il lavoro e la mia carriera musicale. Poi, come spesso succede, ci si lascia e ci si perde di vista, ad ognuno la sua vita, e ognuno per la sua strada.
Grazia però non l'ho mai dimenticata, come non si dimenticano le persone importanti che hai incontrato lungo il percorso. Oggi l'ho cercata sul web, come si fa spesso con gli amici che non senti da decenni, sperando di rintracciarla, e casualmente ho saputo che Grazia, purtroppo, non potrò più salutarla perchè non c'è più. Ho saputo anche che ha una figlia di nome Barbara che abbraccio. E' una cosa piuttosto triste, ma volevo ricordare con affetto Grazia Porcelli, che un giorno scrisse su un mio libro di musica: "Studia Piero, studia, che arriverai lontano...".
Non so se sono arrivato lontano,  di certo quelle poche parole di Grazia mi fecero bene. Un tenero abbraccio, ovunque tu sia.

venerdì 5 luglio 2013

Dai Antonello, non pensare alla Lazio, canta ancora!


di Piero Montanari
Anche Antonello Venditti, il popolare cantautore romano e romanista, scende in campo contro la nuova dirigenza americana dell'A.S. Roma, con parole dure e significative, foriere del malcontento che serpeggia nell'ambiente giallorosso per il magro raccolto degli ultimi due campionati, collimato con la sconfitta in Coppa Italia, proprio inflitta della Lazio.
Quelle di Antonello sono parole dettate dall'amarezza per una cattiva - fin'ora - campagna acquisti e anche per una voce che gira nella capitale che vorrebbe il suo inno, da parte della nuova società giallorossa, prossimo ad essere sostituito, e questo dopo aver cambiato anche il logo della squadra, non senza molte polemiche.
"Sarebbe carino - dice ad una radio romana il cantautore - se si potesse essere più partecipi di questa Roma. La Roma si regge sul suo nome e tu non puoi presentarti da Papa Francesco con la maglia dei Boston Celtics. Non si riesce a dare il valore giusto a questa parola, a questa città". E ancora: "Sinceramente l'inno della Roma mi piacerebbe se lo togliessero, perché non lo trovo più identificativo della squadra che conoscevo io."

L'inno ufficiale della Roma è Roma (non si discute si ama) meglio conosciuta come Roma Roma Roma, con testo di Antonello Venditti e Sergio Bardotti e musica dello stesso Antonello insieme a Giampiero Scalamogna, noto col nome d'arte di Gepy & Gepy. Fu cantato per la prima volta allo stadio olimpico nel 1974 e da allora non è mai stato cambiato.
In realtà esiste un inno n°2 che è Grazie Roma, scritto per lo scudetto del 1982 e contenuta nell'album Circo Massimo, là dove dice, in un eccesso di pronomi personali piuttosto cacofonici: "Grazie Roma, che ci fai piangere e abbracciar(ci) ancora, grazie Roma, grazie Roma."

Devo ammettere una vecchia amicizia con Antonello, ed anche una simpatica collaborazione nella produzione del primo disco di Rino Gaetano, almeno quarant'anni fa. Poi ci siamo frequentati saltuariamente, anche in convivi gradevoli, prima di perderci di vista e poco prima che la sua voce iniziasse stranamente ad avere una mutazione antropofonica, scaturendo così nel nuovo stile belante che sinceramente non mi spiego. Vorrei dirgli - con l'occasione e con sincero affetto - di ritornare ai suoi esordi, alla bella voce stile Cat Stevens che sfoggiava in questo inno della Roma davvero esaltante, e di smettere soprattutto di colorarsi i capelli con un nero che in natura non esiste, neanche quando si era ragazzi.
Gli vorrei dire tutto questo, da amico romanista, senza offesa, e che condivido anche le sue amarezze per questa nuova proprietà dell'amata Roma, lontana anni luce dallo spirito che aleggia tra i suoi tifosi, anche loro in evidente e pericolosa crisi d'identità.

Gli vorrei dire di stare tranquillo, al caro Antonello, che il suo Roma Roma Roma , se non lo farà lui stesso come ha minacciato, nessuno lo toglierà mai, se non altro dai cuori dei tifosi.
Lo giuro sui suoi occhiali Ray Ban.