mercoledì 20 marzo 2013

Addio ad Armando Trovaioli, re della commedia


di Piero Montanari
Devo ammettere che la morte del grande compositore Armando Trovaioli, avvenuta oggi alla bella età di 95 anni, mi coglie impreparato. Lui, autore di più di 300 colonne sonore del grande cinema italiano (La Ciociara di De Sica vinse anche l'Oscar) e delle più importanti commedie musicali di Garinei&Giovannini, pensavo fosse davvero immortale.

Innanzi tutto perché l'ho visto in pienissima forma fino ad un paio di anni fa mangiare tranquillamente da Otello alla Concordia, in via della Croce, nei pressi di piazza di Spagna a Roma, ristorante dove da anni, ogni mercoledì sera e per iniziativa di Gabriella Caporicci, si ripeteva il rito del cinema italiano "che conta" di desinare e conversare piacevolmente in grandi tavolate comuni, dove fortunatamente e molto modestamente mi sedevo anch'io.
Il Maestro Trovaioli veniva sempre insieme ad Ettore Scola, il grande regista per il quale aveva scritto colonne sonore indimenticabili, come quelle per C'eravamo tanto amati o La più bella serata della mia vita, Brutti sporchi e cattivi, Maccheroni, La Famiglia o l'indimenticabile Una giornata particolare, due nomination al Premio Oscar come miglior film straniero e miglior attore (Marcello Mastroianni). E poi, immagino, anche perché Trovaioli non potrà mai andarsene veramente, alla stregua di tutti i grandi che ci lasciano per sempre regali così importanti, e che sopravvivono a loro stessi con le loro opere.

Quindi lo conoscevo soprattutto per queste serate passate insieme, anche se scambiavamo principalmente convevoli sul cibo o amenità simili. Era una persona tranquilla e intelligente, mentre invece proverbiale, nell'ambiente, era il suo caratteraccio, che lo portava a sfuriate che ormai sono diventate leggenda. Probabilmente la sua grandissima professionalità e meticolosità gli facevano letteralmente perdere la testa quando sentiva una stonatura di un cantante o l'orchestra non suonava come lui voleva.
Molti artisti sono stati vittime delle sue intemperanze verbali. Johnny Dorelli fu preso a durissime parolacce da Trovaioli - come racconta lo stesso Dorelli - per un paio di note che gli sfuggirono in una esecuzione.

Una volta, in prova al Sistina per Aggiungi un posto a tavola, una delle sue tante fortunatissime commedie musicali scritte con Garinei&Giovannini, si infuriò talmente con il povero pianista Rino Taormina che si tolse una scarpa e gliela scagliò contro senza mancarlo. Taormina girava con un ficozzo in testa pieno di orgoglio e continuava a ripetere mostrandolo a tutti. " Questo me 'l'ha fatto Armando Trovaioli!"
Autore della famosissima canzone "Roma nun fa la stupida stasera", tratta dalla commerdia musicale Rugantino, nel 2007 aveva ricevuto il David di Donatello alla carriera, il più importante riconoscimento del nostro cinema.

Ultima piccola stranezza: la moglie Maria Paola ci ha raccontato solo oggi la morte del Maestro, che però è avvenuta alcuni giorni fa. Chissà perchè lui ha voluto così.

Il meteorite di Totti


di Piero Montanari
Siamo laici, volteriani, illuministi, ma certe volte il cielo (o chi per lui) manda dei segni talmente magici, che è difficile valutare con la fredda, umana razionalità e la conseguente alzatina di spalle.
Ieri, mentre una scossa di terremoto 4.8 della scala Richter scuoteva le fondamenta del frusinate alle 22:16, Francesco Totti, da quasi 25 metri, con un meteorite da 113 km orari, sfondava letteralmente la porta di Buffon e dava la vittoria a questa Roma lacerata da fantasmi, malumori, difficoltà di gioco e senza nessun successo nel 2013, allenata, dopo l'esonero di Zeman, dal vice Andreazzoli già sotto processo dopo la prima gara.

Il "bolide celeste" di Francesco è il gol numero 224, a una sola rete da Nordahl nella classifica marcatori di tutti i tempi, ed è facile immaginare che questo record verrà ampiamente superato.
La vittoria torna alla Roma dopo 2 pareggi e 4 sconfitte, il brutto ruolino di marcia del 2013, e torna proprio contro la "nemica" di sempre, questa Juve fortissima (ma ieri di meno, forse un po' stanca per le tante partite giocate in pochi giorni) con la quale non vinceva in casa dal 2004 e dalla quale aveva perso all'andata con un secco 4-1.

Volteriani illuministi, ma anche romanisti, penso che ogni tanto sarà bene credere alla simbologia celeste. Avevamo ormai archiviato la profezia dei Maya sulla fine del mondo, quando arriva la pioggia di meteore sulla Russia che ci fa subito pensare che forse qualcosa di vero ci poteva anche essere, non ostante le rassicurazioni di Giacobbo sul palco di Sanremo.
Difficile non fare un parallelo tra i bolidi celesti russi, il bolide di Totti e la scossa di terremoto delle 22:16 di ieri sera.

Minuto più, minuto meno, molti hanno pensato addirittura che la causa della scossa fosse stata il boato dei 50 mila tifosi romanisti all'Olimpico al gol di Francesco. Potenza del tif

Le malinconie di Sanremo


di Piero Montanari
Sembra che nelle canzoni del festival di Sanremo 2013 sia sceso un velo di malinconia e di infelicità, lo stesso che da un po' di tempo aleggia nell'aria di questo nostro martoriato paese, ormai poco canterino, insieme alla difficoltà di affrontare il presente, con tutti che si dimettono, papi compresi, e all'incertezza per il futuro che inquina evidentemente anche gli animi degli autori delle canzoni in gara.

Tutto questo sembra riflettersi con forza nello spirito di chi ha scritto le melodie, ma soprattutto i testi: infatti si parla di "terra offesa e venduta" dalla quale si vuole fuggire, magari anche "verso una terra sconosciuta" (addirittura meglio l'ignoto dell'incerto!) e mutati "in una molecola di vento" forse per scappare il più lontano possibile, e quindi "mentre il mondo cade a pezzi, io compongo nuovi spazi".
E al tema dell'amore, tanto caro al festival di Sanremo, sembra non andare meglio, inquinato com'è dalle difficoltà del quotidiano e l'impossibilità nella coppia, di programmare insieme un futuro, vivendo un presente che non aiuta di certo l'amore.

Ripenso con un po' di malinconia ai vecchi Sanremo di tanti anni fa, dai quali usciva fuori quella che veniva chiamata la "canzone Regina", il brano popolare, la vulgata musicale che tutti avrebbero cantato sotto la doccia, come si diceva ai tempi.
Ora, quella che molti accreditano alla vittoria di questo festival 2013 è il brano dei simpatici e bravi Elio e le Storie Tese, La canzone mononota, una sorta di paradosso musicale post-progressive, ricco di fasi arrangiamentali complesse e accelerazioni-decelerazioni, cambi di tempo durante l'esecuzione, in una specie di equilibrismo tecnico del quale non riesci a ricordare nulla, anche se ti diverte sicuramente per la sua follia.
La canzone mononota di Elio si accredita a diventare, che vinca o no, la canzone "meno nota" di tutte le 63 edizioni del festival, perché umanamente impossibile da cantare.

Istituirei un premio a latere della manifestazione per chi riuscisse a replicare 20 secondi della Canzone mononota, magari con l'ausilio della doccia, stile il tenore di Woody Allen in "To Rome with love".

Crozza contestato sul palco del Festival



di Piero Montanari
Momenti di tensione per Crozza all'inizio del suo intervento comico a Sanremo. Annunciato alle 10 e 30 da Fabio Fazio come Silvio B. che canta "C'est formidable" di Aznavour e Bonaiuti, esce truccato da Berlusconi, come aveva fatto recentemente a Ballarò, ed inizia a cantare una parodia del famoso brano portato al successo dal cantante francese.
La presa in giro è la somma di tutti i luoghi comuni berlusconiani, dalla "culona" Merkel al taglio dell'Imu per la prima casa, ci sono proprio tutti.
"Sono il re dei furbi" canta il finto Silvio. Finisce la parodia e parte del pubblico sembra non gradire. Per la verità sono due che iniziano a fischiare Crozza urlandogli di non fare politica; si accende la bagarre in sala, chi applaude e chi gli urla contro. Crozza sembra essere in difficoltà e non riesce ad andare avanti. Entra Fazio e cerca di placare gli animi, chiedendo di non approfittare del festival per farsi notare con due urli. Sembra che i dissenzienti si plachino, ma non è così, continuano ad urlare e Crozza non riesce ad andare avanti e Fazio è costretto ad intervenire di nuovo. Il pubblico urla "fuori fuori".

Placati gli animi il comico genovese ricomincia e per fortuna la smette con Berlusconi, che non se ne poteva più, ed inizia con Bersani. È tutto a posto, la par condicio è di nuovo stabilita, compresa la noia e la calma in sala. Peccato, ci stavamo divertendo molto.
Ora c'è spazio per tutti, anche per l'imitazione che per noi resta la migliore di tutta la brutta performance del comico, quella di Ingroia, che intervistato da una voce fuori campo, biascica le sue risposte tentado pure di cantare "Bella Ciao".

C'è posto anche per Monezemolo intervistato da Fazio, ma ormai il divertimento si è consumato con la contestazione e si chiude, quindi, un intervento comico senza storia e incolore.

Siae, caccia all'autore ricco.


di Piero Montanari
Il 1° marzo 2013 - dopo le fatidiche politiche del 24 e 25 febbraio - si svolgeranno le elezioni per decidere gli organismi interni della Siae, la Società Italiana degli Autori ed Editori, commissariata da quasi due anni, elezioni per le quali il sottosegetario di stato del governo Monti, Paolo Peluffo, sentenziò pochi mesi fa: "Diventerà realtà una delle forme più aberranti di democrazia: quella per cui il voto di un ricco autore vale molto di più del voto degli altri. Ci sarà un meccanismo di voto ponderato in base al quale ogni associato, in regola con il pagamento dei contributi associativi, ha diritto ad esprimere in Assemblea un voto come singolo nonchè un numero di voti pari ad ogni euro di diritti d'autore percepiti dalla Siae nell'anno precedente".

Ipse dixit, il buon Peluffo, ma poi firmò il decreto che approvò questo statuto e quindi queste "aberranti e antidemocratiche" elezioni che si stanno per svolgere, il Porcellum della Siae.

Con questo statuto non si potrà assicurare una equilibrata rappresentanza di tutti i professionisti, compresi quelli di musica classica, jazz e generi di nicchia, il cui reddito è di per sé più modesto.
E' il discorso che da molti mesi portiamo avanti inascoltati, cioè che Calvino, Moravia o Malipiero, se fossero vivi, non verrebbero rappresentati in Consiglio di Sorveglianza Siae, perché vendono poco, mentre l'autore XYZ, che nell'ultimo anno ha fatto un unico grande successo, o spopolato nelle feste di piazza e venduto una valanga di CD (o di brani su iTunes) viene rappresentato, perchè il suo apporto vale centinaia di migliaia (se non milioni) di voti.

Questo è lo scenario davvero aberrante che si presenterà il 1° marzo nell'unico giorno utile per votare, a Roma, costringendo i quasi 100 mila autori sparsi in tutto il Paese (ma in quanti andranno?) a recarsi, a proprie spese, al Palazzo dei Congressi, accreditarsi dalle 8 alle 11, altrimenti non si potrà più votare, per poi presenziare all'Assemblea e finalmente apporre le loro affaticate firme sotto le liste preferite. Oppure (e qui la Siae è stata magnanima) delegare qualcuno a votare per loro, ma con firma autenticata da notaio o segretario comunale.

Questo fatto della delega ha scatenato tutti i candidati nelle liste per il Consiglio di Sorveglianza della Siae, ad una caccia senza tregua all'autore più ricco che non vuole recarsi alle urne il 1° marzo prossimo, cercando di accaparrarsi la sua firma, tra promesse e lusinghe.

Sono stati visti scappare per le città, inseguiti dal candidato con delega, penna e notaio ateltico: Zucchero, Vasco, Baglioni, Battiato, Vianello, Giovanotti e i più veloci: Tiziano Ferro, Gigi D'Alessio, Biagio Antonacci Ligabue, ma anche l'ignoto autore del Pulcino Pio (sic!), che nessuno conosce, appunto, simbolo ormai di questa incredibile farsa elettorale, al quale, sembra, sia stata proposta addirittura la poltrona di presidente della Siae.

Io voterò (piccolo spot elettorale) per le liste CREA, i cui componenti - tutti professionisti di vaglia - assicurano, una volta dentro la Siae, di voler cambiare questo statuto antidemocratico, e ripristinare l'assegno di professionalità ai vecchi autori, un piccolo emolumento di 600 euro mensili, frutto di versamenti personali di tutta una vita, e tagliato inesorabilmente e inopinatamente dai commissari governativi, che se ne andranno, finalmente e se dio vuole, il giorno 2 marzo prossimo venturo.

Beyoncè, la Pinocchio del Blues


di Piero Montanari
Vi ricordate la storica battuta nel film Borotalco di Verdone, nella scena del salotto con gli amici, dove vengono rivelati i gusti omosessuali di un famoso attore americano supermacho? Il ragazzotto esclama sconsolato: "Nooo, m'è crollato un mito, li mortacci sua, m'è crollato!"

Oggi mi sento un po' come quel ragazzo nel film, nell'apprendere che Beyoncè, la grande cantante afroamericana ha confessato ai giornalisti, dopo settimane di sospetti e rumors, non la sua omosessualità ma che: "E' vero sul palco del giuramento del presidente Obama ho cantato l'inno americano in playback. Ma era freddo, ero tesissima, non volevo correre rischi...".

Mi sono andato a rivedere il video più e più volte e non mi rendo conto di come abbia potuto fare una confessione del genere, perché due sono le cose: o lei canta assolutamente dal vivo, o è la più grande cantante del mondo, oltretutto, anche nel mimare un playback. Le ho contato i respiri e l'impressione è stata sempre la stessa, e cioè che l'artista texana canti in quel momento con la sua voce sulla base musicale dell'inno.

Se così non fosse, complimenti alla mimica perfetta che di certo ha necessitato di ore ed ore di studio. Però, a questo punto della storia, la cerimonia suonerebbe piuttosto falsata. Sappiamo come gli americani facciano il "pelo" a qualsiasi cosa suoni fake, fasulla, soprattutto in ambito politico, tanto da escludere candidati che non avevano pagato contributi alla colf o piccolezze del genere che in Italia ci fanno sorridere di benevolenza.

Considerato tutto, credo che perdoneranno a Beyoncé questa caduta di stile, peccato minimo.
A meno chè non si venga a sapere che anche il discorso di Obama sia stato pronunciato in playback, magari ripreso pari pari da quello del suo primo mandato presidenziale del 2008 e pure senza il bisogno di registrarlo di nuovo, tanto era uguale all'altro.



DAL MONOLOGO DI MOLLY BLOOM


Il monologo di Molly Bloom che conclude l'Ulisse è un lungo monologo interiore (i pensieri del personaggio scorrono liberi senza interruzioni da parte di eventi esterni) senza punteggiatura e racconta i suoi pensieri e le sue bugie mentre a letto aspetta il ritorno di Leopold.Più avanti di così la scrittura non può andare,e come diceva Carmelo Bene, dopo Joyce è inutile scrivere libri.

Lui quel giorno che eravamo stesi tra i rododendri sul promontorio di Howth con quel suo vestito di tweed grigio e la paglietta il giorno che feci fare la dichiarazione sim prima gli passai in bocca quel pezzetto di biscotto all'anice e era un anno bisestile come ora si 16 anni fa Dio mio dopo quel bacio così lungo non avevo più fiato si disse che ero un fior di montagna si siamo tutti fiori allora un corpo di donna si è stata una delle poche cose giuste che ha detto in vita sua e il sole splende per te oggi si perciò mi piacque si perché vidi che capiva o almeno sentiva cos'è una donna e io sapevo che me lo sarei rigirato come volevo e gli detti quanto più piacere potevo per portarlo a quel punto finchè non mi chiese di dir di si e io dapprincipio non volevo rispondere guardavo solo in giro il cielo e il mare e pensavo a tante cose che lui non sapeva di Mulvey e mr Stanthope e Hester e papà e il vecchio capitano Groves e i marinai che giocavano al piattello e alla cavallina come dicevan loro sul molo e la sentinella davanti alla casa del governatore con quella cosa attorno all'elmetto bianco povero diavolo mezzo arrostito e le ragazze spagnole che ridevano nei loro scialli e quei pettini alti e le aste la mattina i Greci e gli Ebrei e gli Arabi e il diavolo chi sa altro da tutte le parti d'europa e Duke street e il mercato del pollame un gran pigolio davanti a Larby Sharon e i poveri ciuchini che inciampavano mezzi addormentati e gli uomini avvolti nei loro mantelli addormentati all'ombra sugli scalini e le grandi ruote dei carri dei tori e il vecchio castello e vecchio di mill'anni si e quei bei mori tutti in bianco e turbanti come re che chiedevano di metterti a sedere in quei buchi di botteghe e Ronda con le vecchie finestre delle posadas fulgidi occh celava l'inferriata perché il suo amante baciasse le sbarre e le gargotte mezzo aperte la notte che perdemmo il battello ad Algesiras il sereno che faceva il suo giro con la lampada e Oh quel pauroso torrente laggiù in fondo  Oh e il mare  il mare qualche volta cremisi come il fuoco  e gli splendidi tramonti  e i fichi nei giardini dell'Alameda sì e tutte quelle stradine curiose  e le case rosa e azzurre e gialle  e i roseti e i gelsomini e i geranii e i cactus  e Gibilterra da ragazza dov'ero un Fior di montagna  sì quando mi misi la rosa nei capelli /come facevano le ragazze andaluse  o ne porterò una rossa  sì e come mi baciò sotto il muro moresco /e io pensavo be' lui ne vale un altro  e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora  sì allora mi chiese se io volevo  sì dire di sì mio fior di montagna  e per prima cosa gli misi le braccia intorno  sì e me lo tirai addosso  in modo che mi potesse sentire il petto tutto profumato  sì e il suo cuore batteva come impazzito  e sì dissi sì voglio  sì.