martedì 23 dicembre 2014

Joe Cocker, l'ultima voce nera del '900


Joe Cocker
Joe Cocker


di Piero Montanari

Ne sono certo, nessuno era più nero di lui, neanche col trucco, come Al Jolson, l'attore bianco finto negro, interprete del primo film sonoro della storia del cinema, il "Cantante di Jazz", del 1927, che si mise del cerone per sembrare black, mentre cantava Swanee. Joe la negritudine ce l'aveva nella voce e non nell'aspetto, essendo un englishman bianchissimo di pelle e rosso di capelli, nato a Sheffield, distretto metropolitano del South Yorkshire, Inghilterra. 
 


Ma la sua voce aveva ingannato tutti, anche perché quando si esibiva nelle cover di brani famosi dei Beatles e le radio del 1968 trasmettevano With a little help from my friends, pensavamo che non solo fosse un nero a cantarla, ma un nero più nero della pece, con quella voce ricca di blues e roca come quella di un fumatore da 100 sigarette al giorno.

E invece Joe Cocker era bianco, e quando lo scoprimmo era troppo tardi per smettere di amarlo. Cantava come e meglio di qualsiasi bluesman nero sulla piazza, e il patto con tutti noi ammiratori si consolidò, soprattutto quando lo sentimmo cantare a Woodstock, nel 1969, al concerto dei concerti, un brano di Leon Russel, Delta Lady, che Joe interpretò magistralmente e che segnò la sua definitiva consacrazione nel mondo della musica che conta. L'universo un po' aristocratico dei puristi del blues è sempre pronto ad accoglierti ma anche a cacciarti se non porti in dote le 'black roots', le radici nere, che sono il vero e unico passaporto per essere considerato a tutti gli effetti un bluesman che si rispetti.

La voce era straordinaria. Continuano sensa sosta i successi di Joe, con quella sua strana postura mentre canta, le braccia tese e immobili sui fianchi, come fosse in preda ad una crisi spastica. She came in Trough te bathroom window, ancora un brano beatlesiano da Abbey Road decreta un altro fortissimo successo, e fa di Joe Cocker un interprete canoro tra i più amati del mondo. 
Ma sempre più spesso la cronaca deve occuparsi anche dei suoi ingressi devastanti nel mondo della droga e dell'alcol, tanto da relegarlo per molti anni nel silenzio o quasi. 

Ma la sua voce lo riporta in alto nel 1980, ripulito e disintossicato, piazza il suo You can live your hat on, brano famosissimo dal film 9 settimane e 1/2, che lo rilancia nelle classifiche mondiali.

Da quella straordinaria canzone, la vita di Joe è un susseguirsi di successi (You Are So Beautiful, Ain't No Sunshine, Unchain My Heart, Feelin' Alright, solo per ricordarne pochi) e di momenti di disgregazione fisica, sempre a causa delle sue dipendenze e dei suoi eccessi, fino al conclamarsi della malattia, un carcinoma polmonare del quale era affetto da molto tempo e che non gli dà scampo, una malattia che colpisce beffardamente proprio i polmoni, e chi gli procurerà la morte nel suo ranch americano a Crawford, Colorado, terra di cercatori d'oro e di pellirosse, non certo di bluesman neri

sabato 13 dicembre 2014

Addio Cugini di Campagna, siete troppo trash!


I cugini di campagna
I cugini di campagna


di Piero Montanari

La notizia è una di quelle che ti sconvolgono, se la leggi senza riflettere molto, perché la trovi insieme ad altre che raccontano le peggiori tragedie umane, tra corruzione, assassini efferati e l'imminenza del Natale tra i più poveri della storia. Poi la rileggi, cominci a realizzarne piano piano il significato intrinseco, ad assimilarla lentamente e a pensare a come sarà la vita dopo aver saputo che Nick Luciani (no, non è un mafioso italo americano) la voce storica dei Cugini di Campagna ha deciso di lasciare il gruppo dopo vent'anni di militanza, per intraprendere addirittura la carriera da solista.
 


Sei lì lì per pronunciare la famosa frase d'obbligo "e 'sti c...?" ma poi cerchi di capire il perché: in realtà pare che i motivi dell'abbandono siano ben altri e ben più gravi: secondo Nick, ormai il più famoso gruppo di glam-trash-pop-rock italiano denunciava a suo dire: "una mancanza di collaborazione nella produzione, prove musicali inesistenti, allestimento scadentissimo degli spettacoli dal vivo", problemi che avrebbero portato, sempre secondo Nick, "a far precipitare i Cugini nel ridicolo, togliendo man mano al gruppo quella magia con la quale era nato negli anni '70 e su cui si basava".

Quindi, se ho capito bene, il gruppo più dannatamente trash della storia della musica italiana è addirittura troppo trash per il suo cantante solista, talmente sciattamente trash da doversene andare via. Beh, questa si che è una notizia, perchè, evidentemente, al trash non c'è mai fine.

Ho una piccola storia personale con i simpatici Cugini di Campagna: nel 1980 I gemelli Ivano e Silvano Michetti, i fondatori "cespugliosi" del gruppo, mi chiamarono a suonare come bassista nelle tracce del loro disco Gomma, sempre prodotto dalla piccola etichetta Pull di Meccia e Zambrini che li lanciò nel 1970, disco che segnò uno stop nella loro produzione per qualche anno. Rividero poi la luce quando furono "riscoperti" da Claudio Baglioni che nel 1997, con Fabio Fazio, condusse un trasmissione televisiva di grande successo che portava il titolo del loro brano più famoso, Anima mia, e che li rilanciò alla grande.

Sappiamo che non sarà difficile per i Cugini trovare una nuova voce solista: dopo il primo Flavio Paulin ci fu l'amico Paul Manners, a cui seguì per qualche anno Marco Occhetti detto Kim che poi lasciò per l'attuale Nick Luciani. Non è difficile, dicevo, perchè i cantanti sono sempre stati biondi, con i capelli lunghissimi e dotati di una potente voce in falsetto, che da quaranta e più anni è la caratteristica principale del gruppo, trash compreso.

Forza Cugini, nessun rimpianto: una mano di tinta ai capelli ed una strizzata agli zibbidei e il sostituto è bello che pronto

martedì 9 dicembre 2014

Mango, perchè la morte in diretta attrae




di Piero Montanari

La morte in diretta di Mango mentre canta la sua canzone più famosa, oltre a suscitare nell'immaginario delle persone quell'aspetto epico e falsamente romantico che vuole l'artista finire la sua rappresentazione, con il sipario della sua vita che cala inesorabile all'ultimo atto, pone la solita vexata quaestio dell'utilizzo mediatico che si fa della morte, un utilizzo quasi sempre speculativo ed indecente.
 


Su tutti i media, network on line, gruppi social viene mostrato il momento in cui Mango si accascia sul suo pianoforte e muore, mentre canta la sua canzone più famosa. Qui non si tratta di essere o non essere d'accordo sul pubblicare o meno questo video, ma molti si sono profondamente indignati per l'uso che se n'è fatto, ed è una cosa assolutamente condivisibile, sostenendo molti che speculare sulla morte è cosa indecente. 

E' sotto gli occhi di tutti, che la morte è, in qualche modo, attraente, per un meccanismo psicologico che è assolutamente umano: l'incidente mortale rallenta la fila di macchine perché tutti vogliono vedere com'è fatta la morte che, per quella volta, li ha risparmiati. Siamo circondati da tv spazzatura, che indulge su storie di delitti, confezionando centinaia di ore di trasmissioni su questi argomenti, e sono purtroppo, le trasmissioni con più ascolto. 

Per quanto esecrabile, la morte di un cantante famoso come Mango sul suo palcoscenico, è una delle morti più sensazionali alla quale si possa assistere, e suscita una curiosità morbosa comprensibile, anche se è una curiosità che indigna molti di noi.

Sta ai media non divulgare immagini forti, ma questo riguarda l'aspetto etico di ogni giornalista, ma è impossibile evitare che il cretino che ha ripreso col telefonino al concerto Mango morente, non se ne faccia un vanto, pubblicandolo sulla sua timeline. 

Che dire altro, se non che siamo tutti vittime di giornalismo sensazionlista e di bassa forza che diseduca al rispetto e della profonda sottocultura che già non lo insegna per i vivi. Figuriamoci il rispetto per i morti!

venerdì 5 dicembre 2014

Muore Manuel De Sica, il gentleman delle colonne sonore


Manuel De Sica
Manuel De Sica


di Piero Montanari

Anche Manuel se n'è andato, così, imporovvisamente a 65 anni per un attacco cardiaco. Era, con il fratello Christian, figlio di Vittorio De Sica e di Maria Mercader e fratello di Emi, che suo padre aveva concepito con l'attrice Giuditta Rissone. 
 


Manuel mi ha onorato da sempre della sua amicizia. Ci eravamo sentiti poche settimane fa per la storia della fine dell'assegno di professionalità che la Siae tre anni fa ci tolse con un colpo di mano, e io lo ragguagliavo sugli sviluppi della situazione. Ma spesso collaboravamo nel lavoro e, in tempi passati, partecipavo anche alle sedute di registrazione per suonare nelle musiche dei suoi film.

Era un musicista intelligente e colto, compositore di talento di tante colonne sonore, comprese quelle di suo padre Vittorio: da Amanti al bellissimo Il giardino dei Finzi Contini, che gli varrà anche una nomination all'Oscar, da Lo chiameremo Andrea, a Il Viaggio e Una breve vacanza.

Numerose sono state però le collaborazioni di Manuel con altri registi. Con Pasquale Squitieri scrisse la colonna di Io e Dio, con Steno Cose di cosa nostra, con Camerini Io non vedo, tu non parli, lui non sente. Ma ci furono anche Dino Risi, Marco Risi, e Verdone, collaborazione quest'ultima che gli valse il Nastro d'argento per la colonna sonora di Al lupo al lupo.
Fu nel 1996 che però ottenne il suo massimo riconoscimento, vincendo il David di Donatello per la colonna sonora di Celluloide di Carlo Lizzani.

Ho ricordi straordinariamente piacevoli delle mie frequentazioni con Manuel, come quando, da ragazzi, andavamo al cinema insieme o passavamo ore ed ore nella sua casa paterna di Via Aventina a Roma ascoltando jazz, nostra grande passione comune, a volume altissimo e fino alle cinque di mattina, con i vicini che ci urlavano dalle finestre di abbassare la musica, mentre i dischi di Thad Jones & Mel Lewis andavano a tutta birra e Manuel mimava davanti a me tutti gli arrangiamenti, contorcendosi dalla felicità. E, al colmo di questi momenti di estasi musicale, spalancava gli occhi e mi diceva : "Senti senti adesso qui che bella cosa fanno." Spesso, in queste lunghe kermesse, entrava discretamente nella stanza il papà Vittorio chiedendoci un po' di pace, mentre Christian si univa a noi cantando con maestria dietro all'orchestra.

Manuel mi mancherà moltissimo, e mancherà moltissimo a tanti che gli volevano bene come gliene volevo io, ed ammiravano il suo stile, la sua pacatezza, la sua immensa cultura non solo musicale, e la sua straordinaria gentilezza di uomo d'altri tempi che sorprendeva sempre, disabituati come siamo.