lunedì 28 marzo 2011

Due centesimi di Cultura








di Piero Montanari
E’ nota a tutti la proposta del governo di aumentare di uno o due centesimi al litro i carburanti per autotrazione, per finanziare il Fus (sempre lui, il Fondo Unico per lo Spettacolo) ed integrare, così, il maltolto di 149 milioni voluto in prima istanza dal ministro Tremonti, fino a portare il Fondo ai livelli dello scorso anno, cioè 428 milioni di euro. Fatto ciò viene accantonata, per ora, l’idea di mettere la tassa di 1 euro sul biglietto del cinema. Il tax credit si finanzierà al distributore di benzina.  
“Un piccolo sacrificio – ha detto Letta – che sono certo gli italiani faranno con piacere”.
E così alle accise introdotte per finanziare le varie guerre, da quella di Abissinia, a quelle in Libano e Bosnia, passando per la crisi di Suez -  che sono però finite da tempo - ci vediamo costretti ad una spesa di 240 euro l’anno in più di costi diretti per amore della sospirata Cultura.
C’è di che essere contenti, per come si stavano mettendo le cose,  che non sia rovinato tutto sulle teste degli operatori culturali italiani, come le mura di Gerico o, più semplicemente, quelle di Pompei, ma questo aumento delle accise arriva in un periodo nel quale, anche a causa della guerra in Libia, il prezzo dei carburanti era già arrivato a livelli stratoferici. Proprio per questo si attendeva dal governo il ritocco in basso di 8 centesimi per litro (ricordiamo che le imposte pesano per il 55 % sul costo finale, 56,4 centesimi a litro a cui si aggiungono i 24,9 cent dell’Iva).
E’ impensabile che nel nostro Paese, che detiene il 70% delle opere d’arte esistenti al mondo, la Cultura o, più in generale, l’industria culturale, abbia bisogno di pescare i soldi che le servono nelle tasche degli automobilisti. Mi amareggia considerare che In Italia potremmo avere un Pil da capogiro solo con una politica intelligente, capace di sfruttare appieno le straordinare potenzialità di un territorio semplicemente unico e magnifico, pieno di Storia e dei suoi lasciti artistici e monumentali. E invece, tutto si risolve con un ennesimo balzello sul “povero” cittadino. Che tristezza!

mercoledì 16 marzo 2011

Morte della musica e nostalgia del vinile



di Piero Montanari

Jon Bon Jovi, la rockstar americana del pop-metallaro, in un articolo apparso oggi sul Sunday Times, dichiara guerra maramaldescamente al già malandato Steve Jobs, fondatore della Apple e reo di aver contribuito al decadimento e al definitivo ‘killeraggio’ dell’industria musicale, con i suoi iPod, iPad, iPhone e iTunes (chissà prima che finiscano le vocali che altro si inventerà…).
“I ragazzi di oggi si sono persi per intero l'esperienza di mettersi le cuffie, alzare il volume al massimo, tenere in mano la copertina, chiudere gli occhi e perdersi in un album in vinile - ha affermato il cantante di origini italiane - e la bellezza di prendere la paghetta e decidere basandosi sulla copertina, non sapendo come suona un disco. Era magico, un tempo magico e tutto questo è ormai svanito”.
Anche se non riesco a dargli del tutto torto – e poi spiego perché – trovo eccessivo l’attacco al CEO della Apple, che ha avuto solo la responsabilità di aver inventato e prodotto una tecnologia, ormai inarrestabile, che ha definitivamente rottamato qualsiasi supporto musicale. Lp per primi, ovviamente.
Ci aveva provato già anni fa la Sony con il Walkman e le audiocassette, che uno si portava a spasso con le cuffie, dopo essersi registrato a casa il suo vinile preferito, delirio piacevolissimo di autonomia musicale. Sembra una roba del mesozoico inferiore, e invece accadeva solo all’inizio dei ‘70. Un decennio dopo arrivò il Compact Disc, grande rivoluzione del supporto musicale, un dischetto di plastica e una incisione laser, praticamente indistruttibile e di qualità altissima ( 44.1 khz ). Altro che il fruscio della puntina sul vinile! Ricordo che i CD vergini, per registrarci sopra con macchine prediluviane, costavano la folle cifra di 80 euro dei nostri tempi.  Adesso, se li trovi, te li tirano dietro per pochi cent e ti dicono pure grazie di avergli liberato gli scaffali.
La Sony, sempre pronta a salire sul treno della rivoluzione tecnologica, non si fece attendere e  più tardi tirò fuori il Discman,  che poi era il lettore deambulante di CD, anch’esso oggetto di  archeo-tecnologia musicale.
Oggi, come lamenta Bon Jovi, la musica te la scarichi gratis dalla rete ( solo iTunes si paga ), te la metti dove supporto ti pare, la ascolti dove vuoi e, generalmente, sai poco o nulla del brano, chi suona, chi produce, chi è il fonico della registrazione e in quale studio è stato realizzato il lavoro. Tutte cose che noi amavamo leggere mentre il disco girava ipnotizzandoci.
Sapevo tutto sulle sale, i fonici, i produttori, i musicisti, i grafici e io stesso, quando comparivo sulle copertine degli album che mi avevano reso un “bassista famoso”, avevo un moto di orgoglio, mentre “sbucciavo” la copertina del disco ed annusavo l’inebriante odore della Musica.
“Odio sembrare un uomo vecchio - continua il leader dei Bon Jovi nell’intervista - ma lo sono, e tenete bene a mente le mie parole, nel giro di una generazione le persone diranno: Cosa è successo? Steve Jobs è personalmente responsabile per aver ucciso l'industria musicale”.
Non è del tutto così, anche se qualcosa di vero c’è nell’invettiva di Bon Jovi, ma di certo i discografici non avevano capito la rivoluzione che era in atto solo pochi anni fa.

La morte dei dischi in vinile ha creato, però, una schiera di maniaci, collezionisti, infaticabili ricercatori di vecchi Lp che vanno all’attacco di musicisti, giornalisti Rai, vecchi dj radiofonici, radio regionali, collezioni private, con la speranza di trovare le rarità rimaste nelle cantine o dimenticate negli scaffali di casa a prendere polvere, quei dischi che si sono salvati dall’implacabile mondezzaio dove quasi tutti noi li abbiamo destinati.
“Quanta meraviglia è stata buttata via – mi dice sconsolato uno di questi collezionisti, un medico appassionato di vinile e divenuto mio amico, e che frequenta i mercatini nel mondo – intere collezioni di meravigliose rarità gettate nel cassonetto, dischi del valore di centinaia, ma anche migliaia di euro, ormai introvabili!”
E’ una moda, quella della caccia al vecchio vinile, che ha spesso risvolti curiosi: non è difficile trovare sui portoni dei palazzi in zona Prati a Roma, vicino alla Rai di viale Mazzini e dintorni, dei post-it con su scritto: “Cercasi vecchi Lp. Pago bene, contattare il numero…
Non capivo perché proprio e solo in quella zona trovassi quei bigliettini, e lo chiesi al mio amico collezionista. “Perché lì ci stanno tutti i giornalisti, programmisti registi e dirigenti della Rai che, per anni, hanno ricevuto dalle case discografiche montagne di Lp gratis per fare promozione radiotelevisiva ai loro artisti. Noi poveri collezionisti speriamo in qualche anima buona che non gli ha cestinati.”


domenica 13 marzo 2011

Non spegnamo il Luce







di Piero Montanari


C’è un allarme tra gli allarmi di questo sconsolante periodo italiano, che preoccupa in questi giorni tutti quelli che hanno a cuore la Cultura del nostro Paese,  già pesantemente minacciata dai tagli del governo al Fondo Unico Spettacolo (FUS), ed è la possibile chiusura dell’ Istituto Luce-Cinecittà proprio per mancanza di soldi. «La situazione è molto grave – racconta lo stesso amministratore delegato di Cinecittà, Luciano Sovena, in un'intervista sul Corriere della Sera di pochi giorni fa – «Cinecittà rischia di chiudere e i tagli ai finanziamenti mettono in pericolo anche lo storico archivio, vanto della nostra memoria».
L’Istituto Luce nacque nel 1924 per volere di Mussolini, che aveva capito l’importanza del Cinema come strumento di propaganta del regime fascista. Negli anni ha raccolto una moltitudine innumerevole di immagini fotografiche e prodotto cinegiornali, documentari e film di straordinaria importanza storica. Gli scatti sono centinaia di migliaia ed altrettante sono le ore di filmati. Praticamente c’è, al Luce, tutta la memoria del ‘900, nazionale e mondiale, un materiale artistico, storico, culturale e poltico la cui importanza può sfuggire solo a chi non ha a cuore le sorti dell'Italia e delle future generazioni.
E’ lo stesso sottosegretario ai Beni Culturali, Francesco Maria Giro che ci spiega, preoccupato, come stanno i conti: sulla base di quel che resta del Fus, ovvero 231 milioni, applicando le aliquote vigenti per i vari settori, le fondazioni lirico-sinfoniche avranno circa 109 milioni, la musica circa 31, la danza circa 5, il teatro circa 37, il circo 3,4 milioni e il cinema circa 42 (di cui meno di 7 potrebbero essere destinati a Cinecittà). Mentre l’attesa era di un reintegro fino a 414 milioni.
Quindi nel 2011 l’Istituto Luce (fuso con Cinecittà nel 2009) riceverà dallo stato solo 7 milioni di euro ed i soldi serviranno appena per pagare gli stipendi dei dipendenti, mentre sarà bloccata, per "ipossia" economica, qualsiasi attività strategica. Una vera sciagura, se si pensa che proprio quell’archivio storico di cui si diceva  è a rischio. Si sa quanto fragili siano i supporti pellicola e di quanta cura abbia bisogno del materiale così prezioso. Senza contare l'importanza che il Luce ha avuto nella produzione di film lungometraggi a carattere culturale e d’impegno, diretti da grandi registi come Monicelli, Avati, Belocchio, Chabrol, Cavani, Olmi, Scola, a cominciare dal 1935 quando il Luce diede vita all’Enic, l’Ente per le industrie cinematografiche.
Il rischio di un "Halzeimer" generale per la memoria del nostro Paese è quindi grande, e in molti hanno levato gli scudi in difesa del Cinecittà - Luce. Ecco alcune dichiarazioni.
Gianluigi Rondi: «È come spegnere la voce del cinema italiano. Non solo, è come cancellare l'immagine dell'Italia dal dopoguerra». Sergio Zavoli: «La ventilata chiusura di Cinecittà è di per sè un cattivo pensiero: frutto di una pericolosa deriva dei nostri patrimoni culturali. Sarebbe un'operazione, anche se ben dissimulata, vagamente barbarica». Marco Muller: «I programmi delle ultime edizioni della Mostra di Venezia hanno dimostrato quanto prezioso sia il ruolo di Cinecittà Luce nella valorizzazione dei nuovi registi e nella difesa delle opzioni di cinema d'autore che sanno legarsi davvero al territorio. Se le minacce di chiusura venissero confermate, non sarebbe solo il cinema italiano a uscirne azzoppato: perdere un marchio storico tanto importante, proprio quando gli stranieri dimostrano di voler tornare a girare a Cinecittà, vorrebbe dire impoverire irrimediabilmente sul piano della comunicazione internazionale quel che resta del Made in Italy cinematografico».
Digressione maliziosa.
A disgrazie si aggiungono disgrazie: tutto ciò accade mentre Forbes, la rivista statunitense di economia e finanza, retrocede il Presidente Berlusconi dal 74esimo al 118esimo posto nella graduatoria dei più ricchi del mondo, con un patrimonio personale di “soli” 7,8 miliardi di dollari.
Ma questo è un altro discorso.

venerdì 4 marzo 2011

Tv, scorte e massa critica


 di Piero Montanari

Vi racconto un fatterello personale e paradigmatico, di come è assolutamente dannoso per i nostri ragazzi l'esempio negativo di molti politici, e come certa televisione possa essere devastante per le loro coscienze in erba.
Giorni fa mio figlio Luca di 13 anni era a casa a studiare con un suo compagno di classe, un ragazzino carino e ben educato Si parlava di scuola e di futuro e mi è venuto spontaneo chiedergli cosa gli sarebbe piaciuto fare “da grande”, solita domanda banale ma sempre piena di significati reconditi. Non credo stesse scherzando quando mi ha risposto: “Mi piacerebbe lavorare in polizia, magari anche privata e fare la scorta ai v.i.p. o ai politici. Te lo immagini – aggiungeva sorridendo - essere a fianco di personaggi come Berlusconi, con tutte quelle ragazze che lo seguono e che devi accompagnare in giro o alle feste? Ci si divertirebbe un mondo, si guadagnerebbero un sacco di soldi, mance, bevute ai party e stai certo che ci scapperebbe pure qualcosa per la scorta!”
Dopo un mio momento di imbarazzo ci abbiamo riso su, e gli ho subito detto che ci sono mestieri migliori di quello, ma poi ho cercato di capire se parlava sul serio e se volesse provocarmi, anche se non avrebbe cambiato poi di molto il senso della sua affermazione.
Il giovane 13enne – mi sono detto - aveva assorbito benissimo il messaggio del bombardamento mediatico di gan parte della trash tv dove, è inutile ripeterlo, i valori propinati sono sempre gli stessi: soldi, sesso, successo, potere, egoismo, furbizia, e amenità di questo tipo. Che poi è la televisione che il Presidente del Consiglio ci ha mandato trent’anni fa come avanguardia bellica per spianarsi il terreno e - conseguentemente - prendere in mano il potere politico. La manovra gli è riuscita perfettamente, anche perchè la tv di stato ha fatto l'errore grossolano di appiattirsi nel basso della tv commerciale.  Ora Berlusconi, come si conviene ad ogni dittatore in crisi, è arroccato arcignamente al Palazzo  e non vuole mollare, neanche dopo gli scandali di questi ultimi mesi e non ostante le sue bugie per difendersi siano ormai diventate materia per i comici.
La Cattiva Maestra Televisione che il filosofo Karl Popper paventava nel suo famoso libro dove chiedeva, forse un pò ingenuamente, una “patente” a chi lavorava in tv, è sotto gli occhi di tutti. Non è un mero specchio di una società in declino, vittima del potere massmediatico. Questa nostra società, almeno quella composta dalle ultime generazioni, è stata formata massivamente dalla televisione e, purtroppo, dalla peggiore di esse, laddove chiediamo ad un pupazzo (Gabibbo) o ad una trasmissione (Striscia) di tutelare i nostri diritti di cittadini, un antistato mediatico fatto di comici che fanno i politici e i politici che fanno i comici.
Si parla con nostalgia di trasmissioni cult come “Drive in” che hanno anticipato una televisione che oggi spopola, ma che propone anche quel modello di donna oggettivizzata che oggi è di moda fra le ragazzine che la vogliono imitare. Tutti esempi di speculazioni volgari sulle quali dobbiamo riflettere per darci una bella mossa.
C’è molto lavoro da fare, tra scuola, famiglia e società sul ripristino di valori e modelli di qualità superiore, che hanno brutalmente scippato ai nostri ragazzi.
Vi ricordate quando si parlava tanto di “massa critica”? Quand’è che invaderemo, con le nostre biciclette, le corsie delle autostrade?